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«Pronti a rinegoziare le regole dell'Europa»

9 maggio 2015

(intervista del Mattino al Sottosegretario Gozi) 

La vittoria di Cameron indebolisce l'Europa? Il referendum ventilato in campagna elettorale e confermato dal premier britannico ieri pomeriggio dopo la vittoria può diventare una spallata a Bruxelles? Per Sandro Gozi, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega agli affari europei, non bisogna essere pessimisti, ma lavorare sull'unica riposta possibile sul piano politico: mettere la Ue in condizioni di far sentire il peso delle decisioni strategiche come l'immigrazione e l'economia.

Il trionfo dei conservatori britannici pone problemi nuovi al governo italiano?
«I rapporti tra Renzi e Cameron sono ottimi sul piano personale. E, sul piano statuale, Italia e Gran Bretagna si sono ritrovati su alcuni punti cruciali in questi ultimi anni come la lotta alla burocrazia europea, l'impegno alla costruzione di una piattaforma digitale comune. Abbiamo la stessa posizione sul libero scambio delle merci e sulle trattative in corso sul Ttip tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea. Penso che dunque le relazioni continueranno ad essere eccellenti e che non abbiamo alcun motivo di essere preoccupati. Abbiamo l'interesse ad andare avanti».

Cameron ha però ribadito la volontà di organizzare un referendum sull'Europa. Questa mossa non può creare dei nuovi problemi non previsti?
«Non possiamo dirlo adesso. Noi dobbiamo attendere le decisioni della Gran Bretagna e valutare quali saranno le richieste. Londra non vuol uscire dall'Europa, vuole rinegoziare. E questo non è una cosa negativa in sé. A nostro giudizio su una cosa non si può
trattare, sulla libera circolazione delle persone negli stati che aderiscono alla Ue. Cioé sulla questione del valore della solidarietà il cui peso non può ricadere solo su Paesi come l'Italia, perché non è un problema nostro, bensì comune a tutti. Sta ai britannici dirci cosa vogliono rinegoziare».

Ma l'esito elettorale ridefinisce gli equilibri politici tra gli Stati?
«E troppo presto per dirlo. Sappiamo che la posizione britannica è diventata meno influente negli ultimi armi proprio per la posizione assunta sull'unità europea. Londra, mostrando di non credere alla Ue non è stata aggregante, si è presentata indecisa o comunque meno incisiva. Adesso vedremo cosa succederà, ma rion ci sono elementi per una previsione».

Ma si può dire che l'antieuropeismo è la chiave giusta per interpretare la vittoria?
«Assolutamente no. Il punto focale del dibattito politico ed elettorale è stato l'immigrazione e bisogna riconoscere che Cameron ha mostrato di avere le risposte che la gente voleva».

Ma c'è una quota di populismo in questa risposta?
«Non direi che le cose stanno così. C'è una esigenza di ridiscutere le modalità dello stare assieme, però è anche vero che le formazioni estremiste non fanno breccia. Dalla Francia alla Gran Bretagna, anche in Grecia, mi pare che l'ondata si sia ormai esaurita e che non possa conquistare più consensi».

In molti paesi, compreso il nostro, in tanti chiedono meno Europa. È questa la soluzione ai problemi?
«Assolutamente no, direi anzi il contrario: noi abbiamo bisogno di più Europa, di meccanismi che riescano a far sentire le decisioni di Bruxelles nella vita quotidiana della gente. Servono risposte, non fughe».

Su cosa?
«Su due grandi temi. Il primo è quello dell'immigrazione. Qui la Ue deve decidere una strategia che non faccia pesare solo su alcuni un problema che è comune. L'egoismo dí alcuni paesi del Nord non porta da nessuna parte perché gli effetti negativi di questa emergenza prima o poi toccheranno a tutti. Il secondo aspetto è l'economia: la gestione dell'euro è poco politica, poco democratica. Bisogna discutere delle misure da prendere e tenere conto della situazione attuale e delle richieste della gente».

A questo proposito, la Grecia è una bomba ad orologeria già innescata?
«Anche qui la posizione dell'Italia è chiara: non dobbiamo perdere pezzi, del resto Tsipras non ha alcuna intenzione di uscire dalla Ue. Tutto è negoziabile, l'obiettivo è non perdere pezzi perché se questo accade ci indeboliamo tutti, nessuno escluso».

Come mai i laburisti britannici, i primi a rompere i totem costruiti dal socialismo nel Novecento, non sono stati adeguati ad interpretare questa situazione di difficoltà pur stando all'opposizione?
«Milliband è rimasto scoperto alla sinistra, i nazionalisti scozzesi hanno sicuramente pescato tra il suo elettorato. Al tempo stesso non ha sfondato tra i moderati, che sono stati riassorbiti dalla proposta politica del premier. Mi piace però in questa sede esprimere tutta la mia stima per Milliband che ha presentato le dimissioni dimostrando che in Gran Bretagna si è leader nella vittoria ma anche nella sconfitta. Una lezione per l'Italia dove raramente assistiamo a dimissioni dopo una sconfitta elettorale».
Luciano Pignataro

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