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"Archiviata l'UE di Rehn. Sud, sui fondi trattativa aperta"

29 giugno 2014

(Intervista del Sottosegretario Sandro Gozi al Mattino) 


È un po' deluso dai commenti del giorno dopo, Sandro Gozi, che con il premier Matteo Renzi ha condotto il negoziato al Consiglio europeo. E si sfoga: «In Italia pare si stia parlando di un altro evento, non di quello che si è svolto tra Ypres e Bruxelles», dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari europei che si appresta ad affiancare il premier durante il semestre europeo che comincerà mercoledì prossimo.

Tra gli annunci della vigilia e la bozza approvata pare ci siano però non poche differenze: siamo partiti per avere un impegno forte dell'Ue per la crescita e alla fine abbiamo avuto solo un rigore flessibile. Non è poco?
«Non c'è un rigore flessibile, semplicemente la politica seguita dell'Ue in questi anni non esiste più. Siamo in un momento nuovo rispetto alla situazione di qualche anno fa perché non c'è più bisogno di interventi di emergenza per salvare l'Euro o per fronteggiare i mercati finanziari che scommettevano sul fallimento di qualche stato membro. Certo, siamo tutti convinti che il debito è ancora alto, ma è stato riconosciuto che la disoccupazione è a livelli vertiginosi e la crescita bassissima. Un tema che è divenuto la priorità dell'Ue grazie all'Italia che ha impegnato tutti, soprattutto Juncker. Solo così Renzi ha dato l' ok alla sua nomina alla guida della Commissione europea».

Il rigore però resta.
«No, si introduce un'applicazione più intelligente delle regole, passando da un approccio tecnocratico che applicava le norme e i tagli in maniera univoca su economie e realtà sociali diverse, un metodo alla Olli Rehn per intenderci, a valutazioni incentrate sulle singole e diverse realtà nazionali».

Dall'auspicato "pieno uso della flessibilità", come scritto nella prima bozza, al "buon uso" del documento fmale: poteva finire meglio?
«Nel documento c'è anche scritto che la valutazione sul singolo paese dovrà tenere conto delle riforme strutturali che verranno attuate. Si tratta di un punto importante, messo nero su bianco. Purtroppo in Italia, dopo mesi di negoziati, si continua a parlare di un altro vertice. La verità è che abbiamo ottenuto un'interpretazione di regole e politiche diversa dal passato. Non era mai accaduto nella storia dell'UE che la crescita fosse al centro di un documento del Consiglio europeo perché nelle ultime tre legislature solo la Commissione si era data un programma. In secondo luogo, accanto alla flessibilità più intelligente abbiamo ottenuto l'impegno a mobilitare maggiori risorse finanziarie, a partire dalla Bei, per grandi programmi di investimento nei settori delle infrastrutture, trasporti, energia, ricerca, istruzione e formazione. Infine abbiamo impegnato i 28 Stati, e non accadeva dei tempi della commissione di Jacques Delors, a politiche di investimenti produttivi grazie a nuovi strumenti finanziari a livello europeo. In pratica, un massiccio uso dei project bond per ricercare finanziamenti sui mercati».

Sui fondi europei, destinati soprattutto al Sud, non c'è stato però lo scomputo dal debito dei soldi che il governo investe per attivarli. Chi ha frenato?
«Su questo tema siamo d'accordo con la Francia e abbiamo impegnato Juncker a varare nuove regole più giuste per i programmi di investimento di lungo periodo e il pieno uso dei fondi strutturali, riducendo al minimo la quota nazionale. L'obiettivo è di arrivare a1l'80-90 per cento di investimenti nazionali e su questo ci impegneremo fortemente durante il semestre».

Anche su questo fronte dunque, da cui dipende il futuro del Meridione, dobbiamo accontentarci per ora del bicchiere mezzo pieno?
«Guardi, noi abbiamo vinto perché abbiamo fatto passare una nuova impostazione politica. L'Europa non sarà più quella di Olli Rehn votata unicamente al rigore e più attueremo le riforme, più la flessibilità aumenterà. L'atteggiamento di mettere tutto in dubbio non aiuta ad avere in Italia un'immagine positiva dell'Europa».

Si renderà conto che dalla svolta sul tesoretto di Bruxelles dipende il futuro del Mezzogiorno, questo governo ne è consapevole?
«Eliminare completamente il coofinanziamento non è possibile, ma è indispensabile utilizzare al massimo tutti quei soldi. Raddoppieremo i fondi destinati all'assistenza tecnica per insegnare agli enti locali come utilizzare bene le risorse, ma sia chiaro: il criterio essenziale è il merito, non consentiremo che i finanziamenti tornino indietro per consentire che si realizzi qualche autostrada in Polonia. L'auspicio è che il Sud spenda il 100 per cento, in caso contrario i fondi resteranno comunque in Italia».

Con Merkel, dopo la rottura di venerdì sera, è tornato il sereno?
«Tra lei e Renzi c'è una grande rispetto basato su un piano di parità. L'altro giorno non avevamo la certezza che quanto volevamo fosse inserito nel bozza e abbiamo chiesto che i lavori proseguissero nella notte a livello tecnico avvertendo che in caso contrario l'Italia non avrebbe firmato l'accordo e non avrebbe detto sì a Juncker».

Intanto dopo lo strappo di Cameron l'Inghilterra è sempre più fuori dall'Europa.
«Vogliamo che resti e l'Italia ha sempre tenuto aperto il dialogo con Londra. Ci sentiamo ogni giorno per portare avanti priorità comuni, a cominciare dalle politiche energetiche, l'agenda digitale, la lotta alla burocrazia europea. Il no di Cameron è rivolto a Juncker, mentre il documento è stato approvato anche dal primo ministro. Non bisogna poi dimenticare che i Tory non fanno parte del Ppe e pesano le questioni politiche interne che hanno indotto Cameron ad assumere questa posizione: la vittoria di Farange, gli Indipendent party, il crescente euroscetticismo. L'inquilino di Downing Street ha commesso però un errore mettendosi da solo nell'angolo e ora bisognerà lavorare per farlo uscire».

Si dice che le nomine ai vertici dell'UE siano ancora in alto mare, ma intanto Renzi ha bocciato la corsa di Enrico Letta. Perché tanta fretta nell'escludere l'ex premier?
«Non è una bocciatura ma la realtà. Sono tre le postazioni principali: la presidenza della Bce, quella della commissione e la guida dell'Eurogruppo. Avendo già un italiano, Mario Draghi, su una di quelle poltrone non è pensabile che possiamo ottenere una seconda».

Mogherini Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri?
«Renzi e Hollande hanno avuto mandato dai socialisti europei di negoziare e il nome di Mogherini è risultato gradito. Bisognerà però tenere conto degli equilibri complessivi tra Ppe e Pse, senza tralasciare il fattore geografico: i paesi dell'Europa centrale e orientale da dieci anni fanno parte dell'Unione senza avere mai avuto un rappresentante al vertice. Al di là della stima nei confronti di Letta, il suo nome finora è circolato solo sui giornali».

L'ormai ex commissario Antonio Tajani verrà sostituto nonostante manchi qualche mese dall'insediamento della nuova Commissione o l'Italia lascerà perdere?
«Lunedì (domani ndr) decideremo, la mia opinione è che la nomina vada fatta privilegiando un profilo tecnico che possa essere di aiuto durante il semestre europeo».

Pietro Perone

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