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UE: Parlamento europeo, per 73 seggi su una lista transnazionale

1 giugno 2017

(articolo del Sottosegretario Gozi su AffarInternazionali)

   
La Brexit rappresenta un grande spartiacque della vita dell'Unione europea. Chi studierà questi anni non potrà che annoverare il referendum del 23 giugno 2016 tra i punti di rottura principali della nostra storia, o almeno della storia dell'Occidente.

Fin dall'inizio dissi che la Brexit non avrebbe mai avuto le caratteristiche di un'opportunità. Né per noi, né per i nostri amici britannici. La Brexit è una separazione traumatica che porterà inevitabilmente conseguenze negative per entrambi. Ma sono sicuro che, alla fine, il divorzio costerà più caro ai britannici che agli europei.


Mai un'opportunità, ma forse un'utile lezione

Anche per questi motivi, i negoziati, che dovrebbero concludersi entro il 2019, non saranno per nulla semplici. Dovremo essere bravi a tutelare in primis i diritti dei nostri cittadini che vivono in Gran Bretagna, e solo una volta che sarà concluso il “divorzio” potremo ragionare di futuri accordi di partnership.

Ho sostenuto che la Brexit non sarà mai un'opportunità: però potremo far sì che diventi quanto meno un'utile lezione. Per farlo, dobbiamo riavvolgere il nastro prima di guardare avanti.

Si è detto che uno dei motivi principali per cui i britannici (o meglio gli inglesi, se andiamo a vedere la mappa del voto) hanno scelto il Leave sia stata l'immigrazione. Questo è certamente vero, e non a caso uno degli slogan principali della campagna del Leave è stato proprio il “Take back control”, riprendiamoci il controllo: delle frontiere nazionali prima di tutto, ma anche di tutta una serie di prerogative che erano state spostate verso Bruxelles.

Tuttavia, il take back control indica anche un'altra tendenza in atto: la sfiducia nei confronti di un'autorità politica, quella della Ue, sentita come distante, basata su istituzioni percepite come scarsamente rappresentative e comunque ritenute incapaci di dare risposte efficaci ai cittadini.


Un problema di democrazia nell'Unione europea

Ecco allora la domanda fondamentale: esiste un problema di democrazia nell'Ue? Io sono convinto di sì, e sono convinto che Brexit sia stata una reazione - sbagliata - a una necessità vera. Specialmente se consideriamo l'involuzione intergovernativa dell'Unione degli ultimi anni: scelte politiche prese fuori dagli organi deputati; sempre maggior peso alle riunioni degli sherpa; vertici notturni interminabili in cui assumere decisioni cruciali per questo o quel Paese, e per questa o quella emergenza.

È ovvio che una deriva del genere avrebbe prima o poi spezzato la corda, specie se all'interno di un contesto generale di sfiducia verso le istituzioni politiche. Dobbiamo chiederci se tutto ciò sia irreversibile o se sia già possibile mettere in atto soluzioni che rispondano a quella domanda fondamentale sulla democrazia in Europa.


Un correttivo a portata di mano
Bene, una prima occasione l'abbiamo a portata di mano. La Brexit offre infatti l'opportunità di rinnovare la procedura delle elezioni del Parlamento europeo in senso più sovranazionale e transnazionale, sia perché si libereranno i 73 seggi attribuiti al Regno Unito, sia perché sarà probabilmente necessario rimaneggiare il Trattato di Lisbona.

Oggi i cittadini dell'Ue vanno a votare per le elezioni europee su base nazionale, ma ben pochi lo fanno con l'idea di premiare questa o quella visione politica a livello europeo. Non fa certo onore, ma corrisponde al vero l'idea che le elezioni europee si utilizzano per lo più per misurare i rapporti di forza interni, o per “mandare un messaggio” a questo o quel governo in carica.

Occorre invertire questa tendenza, e far sì che il voto per rinnovare il Parlamento europeo sia veramente un voto europeo, e non un voto semplicemente nazionale, che poi produce effetti a Bruxelles e Strasburgo.


Il vantaggio della lista transnazionale
Dobbiamo risolvere il problema dei 73 seggi lasciati liberi dai britannici. Se guardiamo alle elezioni del 2019, per quel che riguarda la composizione del Parlamento europeo, la Brexit potrebbe portare a tre diverse soluzioni: 1) riduzione del numero dei parlamentari, eliminando tout court i seggi britannici; 2) riassegnazione dei seggi britannici agli altri Stati pro quota, sulla base del sistema attuale; 3) destinazione dei 73 seggi a liste transnazionali.

Tutte e tre le soluzioni sono praticabili, ma è evidente che solo la terza ha il vantaggio, da un lato, di non riaprire contese tra gli Stati membri sulla riassegnazione dei seggi e, dall'altro, di creare una vera constituency europea (con la spinta a creare dei veri partiti politici europei). Inoltre, andrebbe a realizzare la riforma effettuata dal Trattato di Lisbona, ai sensi del quale i parlamentari europei rappresentano non più “i popoli”, ma “i cittadini”.

Ogni elettore che si trovasse davanti questa circoscrizione unica potrebbe scegliere non sulla base di un'appartenenza territoriale ma sul confronto di idee e visioni politiche diverse. Voterebbe socialdemocratici, libdem o popolari senza guardare il passaporto dei candidati, ma facendo riferimento esclusivamente alle idee per l'Europa che le famiglie politiche mettono in campo.

Sarebbe, in altre parole, il modo per creare vere liste transnazionali che andrebbero poi a costituire gli embrioni di veri partiti politici europei, ben più efficaci di quelli attuali.


Abbinare capilista transnazionali e 'Spitzenkandidat'
E non è finita qui. Come noto, dal 2014 è stato creato il metodo dello ‘Spitzenkandidat' attraverso cui al momento del voto i cittadini indicano (sebbene il meccanismo non sia automatico) chi debba ricoprire il ruolo di presidente della Commissione europea. Si tratta di una prassi da cui partire, anzi da cui ripartire: i capilista delle liste transnazionali potrebbero essere i candidati alla carica di presidente della Commissione.

E, volendo, si potrebbe anche andare oltre: se da una parte l'elezione diretta del presidente della Commissione richiede la modifica dei Trattati (non semplice, almeno nel breve periodo: ma prima si avvia, meglio è), dall'altra si potrebbe procedere alla fusione delle cariche di presidente della Commissione e del Consiglio europeo. Per questa proposta non è necessario cambiare i Trattati, anche se è evidente che occorra costruire il massimo consenso politico a sostegno.


Un solo presidente per Commissione e Consiglio
Perché insistere sulla figura del presidente? Perché abbiamo bisogno di un presidente con una fortissima riconoscibilità politica. Eleggere un presidente sbiadito, figlio di mille compromessi, comporta un'Europa sbiadita. Un'Europa che i cittadini faticherebbero a sentire casa loro.

Aggiungo che un presidente eletto dell'Unione sarebbe ulteriormente rafforzato e legittimato da primarie transnazionali, continentali. Sarebbe un processo in grado di aumentare sia la popolarità dei candidati che la trasparenza del processo politico. Infine, se il capolista delle liste transnazionali diventasse presidente, il numero due delle liste potrebbe fare il ministro dell'Economia o il ministro della Difesa europea.

Quelle sopra elencate sono proposte concrete. Realizzabili. Io le sostengo convintamente fin dall'immediato post Brexit, e il governo italiano si è impegnato a diffonderle e a sostenerle, trovando già un buon consenso in diversi Stati membri e tra alcune famiglie politiche europee. Dobbiamo continuare su questa strada e far sì che queste idee trovino gambe su cui camminare.

Spesso mi viene obiettato che si tratta di soluzioni che non possono risolvere tutti i problemi che abbiamo. Certo che no, ma non è questo il punto. Le istituzioni da sole non possono colmare il deficit di identità europea. Ma non è svuotando o isolando le istituzioni che creeremo una identità europea più forte.

Invece credo che ci siano già una maturità e una consapevolezza dei cittadini europei, e che trasformare le istituzioni per metterle al servizio della nostra comunità sia un grande risultato politico. Di fronte al nuovo disordine globale, lo status quo dell'Unione non ha alcun senso: una nuova dimensione politica è più urgente che mai.

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