Governo italiano
lingua attiva: Italiano (Italia) ITA

Savona: "Ora la stabilità socio-politica"

1 ottobre 2018

(Intervista di Affari & Finanza al Ministro Savona)

Misure come la revisione della Fornero, il reddito di cittadinanza e la flat tax, non sono solo di spesa, ma hanno una componente di rilancio della domanda, degli investimenti e dell'occupazione. La politica economica deve conseguire la crescita insieme alla stabilità. La vera stabilità non è quella dei parametri di Maastricht, che hanno ingabbiato il Paese, bensì quella socio-politica fatta di benessere diffuso e di equa redistribuzione dei redditi».

Paolo Savona, ministro per gli Affari Europei, in un Forum con i giornalisti di Affari & Finanza e l'economista ed ex ministro Rainer Masera, illustra le linee guida del suo pensiero, quelle che hanno ispirato la nota di aggiornamento al Def appena varata dal governo gialloverde. «Di Piano B non parlo, ma mi stupirei se Banca d'Italia non ce l'avesse e se così fosse la sua responsabilità per non averlo approntato finirebbe sui libri di storia».

Per Savona, «l'Europa deve diventare più forte e più equa. È urgente dare alla Bce i poteri di lender of last resort facendo però nello stesso tempo diventare più flessibile la politica fiscale europea per garantire stabilità e crescita. L'Italia è stretta dai parametri europei, mentre è necessario liberare risorse per investimenti in grado di implementare l'export e rilanciare le costruzioni. Un Paese con 5 milioni di poveri deve porsi il problema di aiutarli. Ed è inutile opporsi perché in questa direzione vanno l'attuale Parlamento e il programma di governo. Inoltre, dobbiamo investire sull'istruzione perché non formiamo più classe dirigente».

Savona, insieme a Masera, è stato fra gli artefici della costruzione europea. Entrambi infatti sono stati membri del governo italiano nei momenti decisivi per l'avvio dell'euro: Savona è stato ministro dell'Industria nel 1993 con Ciampi a Palazzo Chigi, Masera ministro del Bilancio nel 1995 con Dini premier. Ma, mentre Masera è rimasto forse più aderente al progetto iniziale, Savona è molto critico sull'attuale Ue, tanto da aver anche convinto il governo a "sottoscrivere" un documento impegnandolo a muoversi per realizzare «un'Europa diversa, più forte e più equa», più attenta alle istanze socio-politiche che ai parametri stabiliti a Maastricht. E la manovra dell'esecutivo gialloverde ha confermato questa "filosofia", illustrata nel Forum di Affari&Finanza.

Oggi che voto dareste alla costruzione europea? Ci ha dato vantaggi o ci ha creato problemi?
SAVONA: «Dopo trent'anni circa dalla maturazione delle decisioni che portarono a firmare Maastricht e successivamente nel 1998 ad aderire fin dall'inizio all'Unione monetaria, si sono succeduti nel mondo fenomeni geopolitici di tale portata, a partire dalla globalizzazione, che non possiamo ritenere che l'Europa resti ferma nelle sue posizioni. Parametri, norme da rispettare meccanicamente, politiche decise allora, a distanza ripeto di trent'anni, non è logico pensare che non debbano essere oggetto di revisione».

MASERA: «C'è un vizio di fondo non tanto in Maastricht quanto nell'adesione dell'Italia. Lo disse anche lo stesso Delors, allora presidente della Commissione: chiaramente alcuni paesi hanno voluto entrare nel sistema forzando la mano. È fin troppo semplice scorgere il riferimento in primo luogo all'Italia. Il problema è che il nostro Paese ha ritenuto, sbagliando, che il solo fatto di essere dentro l'Unione, in virtù della "disciplina esterna", avrebbe fatto sì che gli squilibri, a partire dal debito, sarebbero stati corretti. È stato un errore e ne soffriamo ancora le conseguenze».

Lei, ministro, ha appena scritto un documento presentandolo a Bruxelles a nome dell'intero governo, in cui c'è una serie di proposte per migliorare l'architettura europea. Ma siamo sicuri che adottando le sue ricette l'Europa diventerà più forte? In fondo l'Italia è vista da Bruxelles proprio come uno dei motivi per cui l'Europa è debole...
SAVONA: «Se non credessi che con queste mie proposte l'Europa potrà diventare più forte e più equa, probabilmente dovrei ammettere di aver sprecato il mio tempo e ovviamente anche il tempo del governo che è stato coinvolto in queste mie posizioni. Partiamo dalla Banca centrale e dal suo ruolo nella tenuta dell'euro. Occorre attribuire alla Bce i pieni poteri di lender of last resort, elaborati storicamente per le banche centrali, molti dei quali si è di fatto già attribuita con il quantitative easing in assenza però di una codificazione statutaria. Altrettanto importante è precisare i poteri della Bce in termini di controllo e influenza dei cambi, consentendole di intervenire direttamente per contrastare gli andamenti di mercato come ha già fatto due anni fa. È urgente codificare e motivare questi poteri, perché nell'attuale vaghezza normativa la politica monetaria viene vista solo come una fonte di vincoli e ristrettezze e non come un'opportunità. Andrebbe fatto prima della scadenza di Draghi per dare al successore un quadro esatto in cui muoversi».

MASERA: «La fattibilità di ogni proposta di riforma è legata alla credibilità dell'Italia. La Germania e gli altri Paesi forti non hanno fiducia in noi. E noi purtroppo gliene abbiamo dato tutte le ragioni. Ricordo quando Carlo Azeglio Ciampi assicurò a Kohl che se l'Italia fosse entrata fin dall'inizio nel sistema, sarebbe stato in grado di abbattere fino alla soglia prevista del 60% il rapporto debito pubblico/Pil. Non è andata così ma certo che se il debito fosse non dico al 60 ma al 100%, il livello che ha oggi la Francia, noi saremmo in condizioni molto migliori. E con noi l'Europa».

Ma esiste il rischio di solvibilità per il debito evocato dal governatore Visco e tornato d'attualità con la decisione di portare il deficit al 2,4%? E lei, ministro, come si trova a lavorare con una squadra di governo che sembra non curarsi delle compatibilità?
SAVONA: «Il rischio di solvibilità del debito non esiste oggi e non esisteva neanche nei momenti più difficili degli anni '70 quando l'inflazione era al 16% o degli anni '90 ai tempi delle manovre draconiane di Amato. Quanto all'attuale esecutivo, francamente né il quadro né le misure della manovra appena proposta per il triennio 2019-21 appaiono così preoccupanti. Se rischio esiste, dipende da una mancata crescita che può essere aggravata da politiche deflazionistiche imposte dal mito europeo di pareggio del bilancio. La peggiore delle ipotesi è comunque che la crescita reale cada sotto l'1% nel 2019 e possa riprendersi solo marginalmente di 10-20 centesimi nel biennio successivo. Ma tenuto conto che il Pil nominale crescerebbe tra il 2,8 e il 3%, migliora comunque il rapporto con il debito. Il dato non può che migliorare se aumenta la crescita. Vedete, quando mi trovo a parlare di queste problematiche mi sembra che ci siano due realtà, quella che traspare dai media e quella che viviamo nelle riunioni e nelle occasioni in cui mi trovo a fare il "professore" e tutti ascoltano con interesse a partire dal premier Conte. Semmai il problema di fondo sta nella preparazione di cui usufruiscono i giovani, cruciale quando si bruciano le tappe. Un tempo le scadenze erano precise: alla prima legislatura facevi il peone, alla seconda il sottosegretario, alla terza il ministro. Ora si va più in fretta, e diventano evidenti i gap di preparazione. Bruxelles potrebbe intervenire in modo significativo, creando una scuola comune di formazione europea».

Come andrebbe riformata la politica fiscale, che governa la finanza pubblica e che tante angosce ci procura in queste ore?
SAVONA: «La confluenza delle volontà a Maastricht avvenne in un clima di sfiducia che vanificò le buone intenzioni e che dura ancora. I Paesi forti a partire dalla Germania, cominciarono a dire: se perdiamo il controllo della finanza pubblica e consentiamo all'Europa di fare la politica fiscale, finirà che l'Europa si indebiterà e noi pagheremo i cattivi comportamenti degli altri. Sembrava naturale passare a un'interpretazione flessibile delle necessità della politica fiscale: invece si decise che tale politica restasse sotto il controllo dei singoli Stati e furono inventati i parametri come vincolo da rispettare. Ma la politica fiscale deve frenare quando l'economia corre troppo e stimolare quando la situazione è negativa. Senza trascurare il contributo che può dare lo Stato: appena si nomina lo Stato sembra parlare di qualcosa di corrotto e impraticabile, ma Keynes dimostrò il contributo virtuoso che lo Stato può dare all'economia.

Ma come fare per dare uno strattone alla crescita e alla produttività?
SAVONA: In Italia dopo tanta fatica siamo riusciti ad arrivare all'1,5% di crescita ma ora la previsione di consenso - e mi chiedo quale consenso possa esserci su una previsione del genere - è per uno 0,9%. In queste condizioni che dobbiamo fare? Continuare a fare una politica deflattiva pagando le colpe del passato pur di restare negli stretti vincoli dei parametri, rinunciando in sostanza a riprendere a crescere, o applicare una maggiore flessibilità? Non ho mai letto un libro di politica economica che dica che per costruire un bilancio bisogna partire da un parametro».

MASERA: «Anche io devo rifarmi a un vizio d'origine perché questo si ripercuote ancora oggi. Quando i padri fondatori avviarono l'Emu la sigla significava: Economic monetary union. Poi nell'accezione comune la E andò a significare European e rimase quindi solo il riferimento alla moneta. E pensare che Kohl andò al Bundestag a ricordare non solo che quella E significava Economic ma soprattutto che quello doveva essere il primo passo verso una vera unione politica. Di tutto questo non è rimasta traccia, anzi in Germania quell'audizione sembra essere stata addirittura censurata, come tanti altri documenti costitutivi. Dell'unione politica che dovrebbe essere la cornice entro cui muoversi, non si parla più. È diventato solo un discorso di finanza e divincoli».

Meno obblighi e politica flessibile, insomma. È anche un problema di qualità della spesa: si parla di rilanciare gli investimenti pubblici e privati, quali margini esistono?
SAVONA: «Io dal primo giorno, mi sono messo a studiare quale politica economica fosse necessaria per conseguire la crescita insieme alla stabilità, sempre tenendo fermo che la vera stabilità non è quella dei parametri perché paradossalmente potrebbe esserci tale risultato anche senza crescita, bensì quella socio-politica fatta di benessere diffuso e di equa redistribuzione del reddito. Subito ho richiamato la necessità di affiancare alle spese correnti un adeguato ammontare di investimenti: se siamo riusciti a riagguantare un minimo di sviluppo lo dobbiamo alle esportazioni, da sempre il driver della crescita italiana. Prima c'erano anche le costruzioni ma il settore è stato distrutto per ricavarne due soldi di entrate fiscali. Purtroppo, appena si affronta il problema degli investimenti e delle infrastrutture si incappa nei vincoli. È fondamentale ripristinare un equilibrio fra investimenti e spese correnti, sui cui benefici ci sarebbe da scrivere un Manuale delle opportunità».

Misure come la revisione della Fornero, il reddito di cittadinanza o la flat tax, come si conciliano con la necessità di creare sviluppo duraturo?
SAVONA: «Anche queste misure, apparentemente solo di spesa, hanno una componente di rilancio della domanda e degli investimenti, ad esempio perché consentono di immettere forze nuove nel mercato del lavoro, così come tutto quel che va in direzione di un calo della pressione fiscale. Quando ha 5 milioni di poveri, un Paese deve porsi il problema di aiutare queste persone. Del resto, è inutile opporsi perché in tale direzione vanno l'attuale Parlamento e il programma del governo.Troppo spesso in passato le classi dirigenti hanno sostenuto l'idea che visto che gli italiani non si comportano bene, bisogna costringerli a comportarsi bene. È l'idea più antidemocratica che esista, coltivata a lungo anche dalla sinistra. La stabilità non la puoi imporre, devi trovare una risposta ragionevole riportando in equilibrio il dibattito. Alla conservazione delle prerogative parlamentari è legata la sopravvivenza della democrazia. Altrimenti i rischi sono ancora maggiori: se non avessimo delle forze armate particolarmente tranquille in Italia ci sarebbe da preoccuparsi da quel fronte. E poi non è possibile che il destino dell'Italia lo decidano solo i mercati, non è questo il Paese che abbiamo sognato».

MASERA: «Invece io continuo a pensare che difficilmente ci sia spazio nelle condizioni attuali per misure quali la flat tax, il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni. Abbiamo viceversa assolutamente bisogno di rilanciare gli investimenti, certo non investimenti all'italiana intrisi di inefficienze e corruzione ma investimenti che rispettino i vincoli e i criteri europei e siano modernamente organizzati anche sotto forma di partnership privato-pubblico. Invece il discorso nei piani governativi è totalmente assente. Persino nella controversa commissione d'inchiesta sul ponte Morandi non si è pensato di inserire neanche un tecnico della Bei o comunque che faccia riferimento all'Europa. Buoni investimenti potrebbero dare un contributo decisivo alla crescita, e quindi a dissipare i crescenti dubbi europei. Certo, non bastano. Per esempio, vorrei vedere dei tagli veri alla spesa corrente, e poi una razionalizzazione: nove livelli concorrenti, ben nove burocrazie che si combattono una contro l'altra, rendendo tra l'altro facile la corruzione, significano impossibilità di procedere con la dovuta speditezza. L'incapacità progettuale che appare evidente è fatta anche di questi problemi. Ecco, di queste cose dovevamo preoccuparci per tempo, invece di voler fare i primi della classe inserendo il pareggio di bilancio in Costituzione, una norma che ha - e rispetta - solo la Germania. E intanto negli ambienti finanziari internazionali continuano a circolare risk dashboard in cui si parla esplicitamente di rischio uscita dall'euro di alcuni Paesi fra cui c'è immancabilmente l'Italia e si calcola millimetricamente - con le cosiddette collective action clauses - quanta parte del debito debba essere rimborsata in euro e quanta possa essere ridenominata in valuta nazionale. Sulla base di queste valutazioni si configura l'applicazione o meno della lex monetae (quella che determina il potere di uno stato sovrano di scegliere quale valuta adottare e di determinarne in proprio il valore, ndr). Voglio dire che non c'è solo lo spread di cui preoccuparci ma anche la sensazione complessiva che circonda questo Paese».

Questo vuol dire che i piani B esistono?
SAVONA: «Non fatemi parlare di piani B perché appena pronuncio questa parola tutti mi saltano addosso. Dico solo che i piani B esistono nei cassetti di tutte le banche centrali e se la Banca d'Italia non l'avesse sarebbe una colpa grave, da citare nei libri di storia. Ripeto ancora una volta: parlare dell'esistenza di questi piani d'emergenza non vuoi dire auspicarne l'attuazione, solo prendere atto, appunto, che dovrebbero comunque esistere».
Eugenio Occorsio
Fabio Massimo Signoretti

manovra , flat tax , Reddito di cittadinanza
Torna all'inizio del contenuto