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Savona : cosi le rendite svuotano la democrazia

11 settembre 2018

(Estratto dall'ultimo libro del Ministro Savona: "Come un incubo e come un sogno. Memoralia e Moralia di mezzo secolo di storia", Rubettino Editore, pubblicato dal Nuovo Corriere Nazionale)

L'accordo di Maastricht e i successivi accordi europei hanno posto vincoli più stringenti rispetto a quelli ai quali l'Italia si sottopose nel dopoguerra (...) Questi vincoli hanno anche contenuto diverso, perché quelli di natura strettamente economica sono gestiti da nuove burocrazie, non dal mercato; e quelli politici da un'organizzazione statuale inesistente, finendo sotto l'influenza di poteri nazionali, oggi rappresentati dall'asse franco-tedesco; questo potere sostanziale si è spinto fino a sostituire il nostro capo del governo indesiderato che non godeva della loro fiducia, forse è meglio dire che aveva fatto di tutto per non goderne, con il consenso dei vertici italiani e accompagnando la scelta con i celebri 'sorrisetti di Cannes' tra la signora Merkel e il signor Sarkozy.

Non entro nel merito della scelta, ma segnalo che fu comunque un atto non democratico tipico della filosofia che domina l'azione dell'Unione Europea, in linea con l'idea che gruppi dirigenti 'illuminati' siano capaci di scegliere meglio del popolo chi lo debba governare. Se il popolo si ribella, essi dicono, vuoi dire che abbraccia il populismo, liquidando con un appellativo un grave problema che ha origine nella loro incapacità di governare la complessità. Le esitazioni nell'indire da noi nuove elezioni prima della scadenza naturale della legislatura hanno la stessa origine, mantenendo una situazione di non rappresentatività della composizione degli equilibri politici che non corrisponde più a quella del Paese, ma agli interessi dei membri del Parlamento.

Il compito della democrazia

Ribadisco che il compito della democrazia dovrebbe essere quello di decidere la distribuzione del valore aggiunto (quello che siamo abituati a chiamare Pil - Prodotto interno lordo), permettendo che emergano i profitti propriamente conseguiti e combattendo le rendite ingiustamente godute; vi sono infatti rendite 'giuste' se destinate a colmare divari di capacità fisica e intellettuale dei cittadini risultati delle vicende della vita, in nome del principio di solidarietà sociale che lega i cittadini di uno Stato. La tutela del profitto, la lotta alla rendita e la fissazione di quali condizioni di vita svantaggiate vanno assistite è materia assai complicata da trattare, soprattutto in un Paese immesso nel contesto globale; ma occorre affrontarla se si vuole dare un senso stabile alla vita economica, sociale e individuale. All'Unione Europea questo compito viene negato, nonostante si sostenga che in esso opera una forma di democrazia indiretta.

Uno dei due binari sui quali scorre il treno del progresso

In conclusione, uno dei due binari sui quali scorre il treno del progresso delle nazioni, che è anche il senso della vita economica calata nel contesto sociale, dovrebbe essere quello di garantire una crescita del valore aggiunto e dell'occupazione continua in un habitat di stabilità dei prezzi e di equa distribuzione delle risorse. Per raggiungere questo obiettivo è necessario il formarsi di profitti da innovazioni, la riduzione delle rendite da protezione e il mantenimento di una rete di assistenza sociale. Il raggiungimento dell'obiettivo del profitto e la protezione dell'assistenza indispensabile alla convivenza civile rispondono a un interesse generale/collettivo, mentre le rendite e le protezioni a un interesse particolare/personale. La democrazia ha il compito di mediare tra le spinte provenienti da questi interessi largamente contrastanti trovando la giusta misura; lo Stato e il mercato devono contribuire ad attuarla o, quanto meno, a non ostacolarla.

Gli errori

Questa concezione viene di norma respinta e si attribuisce una carica negativa a entrambe le categorie economiche, con intensità maggiore per il profitto e maggiore tolleranza, se non proprio vivo consenso, per la rendita. Il motivo principale è che le innovazioni di processo o di prodotto comportano risparmi di lavoro e sono pertanto malviste dai lavoratori che finiscono sia con il propiziare diverse forme di rendita - compresa la protezione delle attività produttive in perdita, che distruggono ricchezza e peggiorano l'habitat dello sviluppo - perché ritenute scelte ottimali per la loro sopravvivenza; sia con il combattere la formazione di profitto, anche perché quest'ultimo non di rado ha al suo interno forti componenti di rendita che tendono a confonderne la natura progressista come qui esplici- tata. Si attribuisce invece indistintamente un valore positivo a talune rendite create per proteggere i lavoratori, le quali alimentano altre rendite di posizione o soddisfano appetiti di intermediari o della pubblica amministrazione. Perciò, invece di invocare una maggiore concorrenza interna e internazionale, si chiede e si ottiene di limitarla in un modo o nell'altro, sollecitando a tal fine l'intervento dello Stato. (...)

La difficile distinzione tra rendite e profitti propriamente definiti è all'origine della caduta o, quando va bene, del ristagno della produttività di cui tutti i principali Paesi si lamentano

Una tale concezione del senso della vita economica nei suoi intrecci con quello della vita individuale e collettiva perde chiarezza nel bagno della realtà internazionale. La difficile distinzione tra rendite e profitti propriamente definiti è all'origine della caduta o, quando va bene, del ristagno della produttività di cui tutti i principali Paesi si lamentano. Le istituzioni dovrebbero produrre la chiarezza mancante su questo aspetto del funzionamento dell'economia. Negli Stati Uniti, ad esempio, ogni legge che coinvolge il funzionamento del mercato è sottoposta al vaglio di un ufficio federale che verifica l'effetto sul grado di concorrenza, per tentare di evitare il formarsi di rendite. L'Italia non dispone di siffatto meccanismo di verifica e, quando agli inizi degli anni 1980 lo si è introdotto per legge per le scelte di investimento pubblico ricorrendo a un "Manuale costi-benefici sociali", è stato respinto quasi con sdegno e l'unità che doveva applicarlo disciolta.

L'Italia ha aderito all'Ue nella speranza, forse nell'illusione, di combattere le rendite, che invece non di rado la Ue tollera, se non proprio concede protezione

Questo è stato indicato come il problema irrisolto dell'Italia, ma anche dell'Unione Europea alla quale il Paese ha aderito nella speranza, forse nell'illusione, di combattere le rendite. Non di rado l'Ue tollera, se non proprio concede protezioni, invece di stimolare vere e proprie condizioni competitive per gli input (capitale e lavoro) e gli output (prodotti e servizi). Per i movimenti di capitale, pur dichiarandoli legittimi e auspicabili, i governi dei Paesi-membri creano protezioni di fatto non sempre perseguibili e perseguite dalle autorità europee. La Francia, ad esempio, manifesta apertamente l'obiettivo di proteggere i propri 'campioni nazionali', una categoria che negli ultimi tempi si va espandendo. Altri Paesi-membri lo fanno senza dirlo. Per i movimenti di lavoro, le condizioni di un libero uso vengono rifiutate da tutti, come testimonia il rigetto della proposta europea di un pari trattamento legislativo avanzata con la 'direttiva Bolkestein'. Per i beni, il grado di concorrenza è più elevato rispetto a quello dei fattori, ma trova ostacoli in un modo o nell'altro sotto la spinta delle lobby di interesse che impongono regolamenti a proprio favore in nome della libertà di concorrenza.

Le tre condizioni richieste per la protezione del profitto e della lotta alla rendita

Le condizioni richieste per raggiungere il duplice obiettivo della protezione del profitto e della lotta alla rendita è che ogni cittadino deve vivere le sue esperienze con forte impegno e grande serietà professionale, ricercando le basi scientifiche e rispettando le basi etiche delle scelte, quelle che ho individuato in estrema sintesi fin dall'inizio di questo scritto nella ricerca del rispetto della dignità umana e dell'indipendenza decisionale.

Il forte impegno è comune a molti, pur venendo applicato in un habitat contraddistinto da eterogeneità dei fini perseguiti, dove prevale la ricerca del vantaggio personale senza tenere conto dei doveri di appartenenza a una collettività organizzata; quando questa è presa in considerazione, per coprire le rendite si fa riferimento ai vantaggi che esse hanno per il proprio Paese, presentando la soddisfazione dei propri interessi come eticamente superiore sul piano sociale.

La serietà professionale, invece, non di rado difetta, sia dal lato della ricerca delle basi scientifiche delle scelte e dei giudizi sia dal lato morale. Viviamo nell'epoca delle sensazioni espresse d'impulso con i tweet e gli sms, con I like o I don't like. Il perseguimento degli interessi generali da parte di una persona è il risultato congiunto delle sue predisposizioni naturali, della volontà che applica e dell'educazione ricevuta in famiglia o in azienda. La presenza della dignità personale e dell'indipendenza appare modesta da per tutto ed è comunque di difficile individuazione; anch'essa discende dagli stessi fattori delle due precedenti qualità, dove svetta il ruolo della cultura che uno assorbe nel posto di lavoro (o 'cultura aziendale'), dove le persone passano una larga parte della loro vita. Le esperienze vissute mi hanno insegnato che la predisposizione a servire gli interessi generali non si assorbe solo via cervello ma, oserei dire, attraverso la pelle, in modo altamente sensitivo. È ciò che in letteratura viene chiamato 'processo identitario', secondo il quale una persona realizza il senso della propria vita identificandosi nei modi d'essere del luogo di lavoro o di frequentazione. Le conseguenze che determina un tale comportamento sono deleterie per la convivenza sociale interna e internazionale.

Abbiamo fatto riferimento alle caratteristiche personali di un buon cittadino/elettore, ma il baluardo invalicabile al suo agire sono le leggi democraticamente votate. Esiste una vasta letteratura sulla necessità che il miglioramento della società passa attraverso uno stato permanente di reazione agli equilibri esistenti, che la storia dell'uomo conferma. Se però lo stato di perenne conflitto tra sistema di norme e realtà in evoluzione conduce indistintamente a negare la regola della legge sulla quale si fonda la convivenza sociale, il principio stesso della legge come regola di vita viene meno e sopravvive solo il caos. Il diritto a criticare le leggi e organizzarsi per cambiarle non annulla il dovere di rispettarle finché esse non vengono cambiate.

Il secondo binario su cui scorre il treno del progresso è quindi quello di rispettare la legge, anche se considerata ingiusta, garantendo però la possibilità di operare per modificarla. Questo rappresenta il fondamento della libertà individuale, secondo cui il cittadino è governato da leggi e non da uomini. Ogni giustificazione addotta per giustificare le violazioni della legge invocando istanze morali o esercitando arbitri palesi od occulti allontana l'obiettivo di una maggiore crescita reale e occupazione nella stabilità dei prezzi e in un habitat di equa distribuzione delle risorse, raffermarsi di queste condizioni dipende dal buon funzionamento della democrazia, dello Stato e del mercato. Ciò che viene definita 'regola della legge' risponde a una catena logica e pratica che muove da una causa iniziale, l'approvazione di norme di comportamento valide per tutti indistintamente, decise da un consesso delegato a gestire la sovranità del popolo di cui lo Stato, cominciando dalla sua burocrazia, ne deve garantire il rispetto, come condizione necessaria per pretendere lo stesso dai cittadini, per una corretta convivenza civile; e dagli operatori, per un corretto funzionamento del mercato. La natura elementare e prescrittiva di questa catena induce a credere che essa sia solo espressione di un'interpretazione ingenua della convivenza civile e delle basi del suo progresso economico. Se si cade nella facile trappola di ritenere impossibile soddisfare queste condizioni, la società smette di svolgere il suo compito e le speranze di un mondo migliore si riducono o perfino si invertono. La caduta delle civiltà ha sempre radici nella fine del senso della vita collettiva da parte degli individui o nella perdita di identità sociale, di cui una componente importante è la caduta del rispetto dei principi che governano la vita economica. (...)

L'esempio dei gruppi dominanti della politica, dell'economia e della cultura è determinante. Aver appreso, ultimo nel tempo, che le società operanti in Italia hanno alterato i codici di valutazione dei flussi di C02 immessi dalle auto di nuova produzione e che gli Stati Uniti hanno deciso di non attuare gli accordi di Parigi per la difesa dell'ecosistema, ha causato in me un senso di profondo sconforto; questo ha evidenziato che esiste una cultura nazionale che presenta le stesse caratteristiche ed effetti delle culture aziendali ricordate.

L'emergere di una considerazione 'sovranista' della politica

II senso che dovrebbe avere la vita economica per tutti i Paesi partecipanti agli scambi mondiali risulta sconvolto dall'emergere di una considerazione 'sovranista' della politica e assistiamo al ritorno di questa o quella protezione generatrice di rendite, dietro cui si cela il potere costituente del nuovo 'sovrano occulto'; essendo tale, è difficile da sconfiggere sul piano fisico, come accadde nelle precedenti 'rivoluzioni', e si può farlo solo sul piano culturale, insegnando al popolo quali siano i loro veri interessi.

Sconfiggere le rendite

Per concludere, una società civile richiede sia che le risorse crescano e, affinchè ciò sia possibile, occorre sconfiggere le rendite, consentendo ai cittadini di esercitare il potere costituente, approvando leggi che si impegnano di rispettare. Quanto più un Paese si discosta da questo ideale, tanto più degrada sul piano economico e su quello sociale. 

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