Ministro Foti: "Rischio invasione di prodotti da Pechino, serve una barriera UE"
14 aprile 2025
(intervista di Repubblica al Ministro Tommaso Foti)
Tra tre giorni Giorgia Meloni sarà da Donald Trump. Ministro Tommaso Foti, sarà una trattativa bilaterale, come chiede Salvini, oppure medierà per l'Europa?
«Sarà lì come Italia. E per una volta, come ha certificato Standard & Poor's, non come un Paese pieno di debiti, ma con conti in ordine. Detto questo, rispondo: è stato per primo Trump a dire che la questione dei dazi - che è innanzitutto europea sarà trattata con il blocco europeo».
Dunque, a nome dell'Europa.
«Dall'inizio sosteniamo: evitiamo una guerra commerciale, la soluzione non può essere un'escalation. I dazi sono un tema prioritariamente gestito dalla Commissione, ma Meloni può avere un ruolo strategico per facilitare il dialogo. Poi è chiaro che in un incontro bilaterale saranno sul tavolo altri dossier bilaterali. Ad esempio, gli investimenti delle imprese Usa in Italia».
Il vero snodo sembra il rapporto con la Cina. Trump ci chiederà di applicare dazi anche ai cinesi? Siamo disponibili a farlo?
«C'è un dato che come europei dobbiamo tenere presente, a prescindere dalla visita di Meloni a Trump: la sovraproduzione cinese. Pechino non riesce ad assorbire la produzione interna. E quindi, rischiamo presto un'invasione di prodotti cinesi a basso prezzo. Credo che l'Europa debba pensare a misure di salvaguardia, in prospettiva. Anche perché i dazi di Trump alla Cina favoriscono la diversificazione del mercato cinese. E aumentano i rischi, per noi».
Ma Bruxelles propone più commercio con Pechino.
«Inutile nascondersi: c'è chi in Europa pensa che una soluzione al problema della nuova politica commerciale americana possa essere quella di puntare di più sulla Cina. Chi così ragiona, fa di conto solo nel breve e non in prospettiva. Altrimenti saprebbe che già oggi la bilancia commerciale tra Ue e Cina è assai deficitaria».
E dunque: clausole di salvaguardia verso la Cina. E poi? Meloni punta su un mercato unico transatlantico, a "dazi zero". Credibile, con Trump?
«Il primo passo deve essere quello di ridurre l'impatto delle barriere. Il secondo, "dazi zero". Creando il più grande bacino commerciale e produttivo del mondo. Per una crescita globale impetuosa».
I segnali restano contrastanti. Gli americani, per dire, promettono nuovi dazi sui semiconduttori.
«Vedremo. I temi sono molti. Ad esempio: non ha molto senso che gli americani impongano dazi all'Europa su acciaio e alluminio, se i cinesi hanno una sovraproduzione di questi materiali. L'unico effetto è deprimere chi può collaborare con te. Bisogna trovare un accordo».
Il governo Meloni è uscito dalla Via della seta e l'ha sostituita con un altro partenariato con la Cina. Si può rimettere in discussione anche questo patto?
«Mi limito a una riflessione: dal 1945 l'Italia fa parte di un mondo, quello occidentale. E ritiene di poter essere utile per farlo andare avanti sul fronte economico e valoriale. Tanto più quando le autocrazie si fanno spazio».
A destra avete sbagliato analisi su Trump? Dicevate: è uno che stringe accordi. Non sembra.
«In realtà vedo in Trump uno "stop and go" che mi sembra tattico. Piaccia o meno, questo è lo schema. Bisogna saperci stare. Flessibili e con la schiena dritta».
Ha definito gli europei "leccaculo" e "parassiti". Dignità non impone una reazione forte?
«Ottant'anni fa De Gasperi volò negli Usa mentre in Italia c'era chi diceva: cederà i nostri valori. Poi tornò con un pacchetto che servì all'Italia a uscire dal disastro della guerra. Serve memoria storica».
Per trattare con Trump acquisteremo più gas e più armi?
«Quando discuti, lo fai su tutto. Bisogna poi vedere la convenienza su ogni singolo dossier».
Nonostante la pressione americana, invece, nessun passo indietro sulla web tax, vero?
«Penso che sia difficile tornare indietro. Però non dimentichiamoci che in Europa si discute anche di un possibile inasprimento sulle big tech. Ecco, meglio la prudenza. Dobbiamo rafforzare l'Occidente, non spaccarlo».
Dovrebbe valere soprattutto per Trump, non le pare?
«Deve valere per tutti. Anche perché l'alternativa è la Cina».
Lei è critico sul dialogo di Pedro Sanchez con Xi?
«Che strana situazione: se Macron va da Trump, è un benefattore dell'Europa, se ci va Meloni allora rompe l'unità dell'Europa, almeno secondo la sinistra. Anche Meloni è andata in Cina, ma non per questo bisogna immaginare una politica sostitutiva di un mercato con un altro. Semmai, bisogna valutare la compatibilità con altri mercati».
A chi pensa?
«Al Mercosur. Una volta ricalibrato il rapporto sotto il profilo del comparto agricolo, un accordo con il Sudamerica è uno sbocco forte. E lo stesso vale peri Paesi del Golfo».
Sulle spese militari Meloni prometterà il 2% immediato. Eppure, Salvini e Giorgetti frenano.
«Se stai nella Nato, devi starci con le regole dell'Alleanza. Certo, dopo aver trattato. Ma sapendo che molti altri investono più di te. Qualcuno si domanda quanto investe la Cina in sicurezza? Buttano tutti i loro soldi? Lo so, l'Italia ha un PIL importante, parliamo di un "bagno di sangue". Ma le condizioni sono queste».
Un'ultima domanda: una nuova strage russa a Sumy. Altro che Putin alla ricerca della pace, ministro.
«È una strage vergognosa. Siamo al d-day. Se Putin si dimostra disponibile a una pace duratura e giusta, l'Europa si ritrova in linea con Trump. Se invece tira in lungo, l'Unione Europea fa bene a rivolgersi al presidente degli Stati Uniti per far capire che Mosca non ha intenzione di concludere nulla».
(intervista di Tommaso Ciriaco, La Repubblica)