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Gozi: «Basta rigore, diamo già abbastanza»

9 aprile 2014

(Intervista de Il Giorno/Il Resto del Carlino/La Nazione al Sottosegretario Gozi)

Sottosegretario Gozi, che senso ha il girovagare di Renzi per le capitali europee se non quello di creare le condizioni per rinegoziare vincoli e trattati?
«Il senso è chiaro: vogliamo ridare all'Italia il ruolo che le spetta in Europa, senza sudditanze né complessi di inferiorità».

Concretamente, cosa chiedete?
«Che ci venga riconosciuto il fatto che abbiamo un avanzo primario; che siamo contributori netti, cioè diamo all'Europa più di quel che otteniamo; che, grazie alla capacità dei nostri imprenditori, vantiamo un surplus commerciale...».

E l'Europa come dovrebbe riconoscercelo?
«La situazione è chiara: nonostante una dura cura a base di austerità, il debito pubblico non cala perché non c'è crescita. Perciò occorre sia che l'Italia vari riforme strutturali, e lo stiamo facendo, sia che l'Europa consenta di trovare risorse da investire nella crescita economica ».

Se l'Europa non sblocca risorse, l'economia italiana non avrà lo choc positivo che serve?
«E', proprio così, ormai lo dicono anche l'Ocse e il Fondo monetario internazionale».

A quali strumenti pensate?
«Ci sono diverse possibilità. Si potrebbe introdurre una golden rule, cioè non considerare gli investimenti produttivi nel calcolo del debito pubblico. Si possono tenere fuori dal patto di stabilità interno i fondi cofinanziati dall'Italia...».

L'avete formalmente chiesto?
«No, non ancora. La proposta l'ha fatta Vasco Errani e mi pare di assoluto buonsenso».

Invocherete anche gli accordi contrattuali?
«L'idea di impostare con i partner europei delle riforme parzialmente finanziate attraverso la Bei o con meccanismi diversi è ottima, ma in dicembre a Bruxelles se ne è discusso senza trovare un accordo».

Intendete o no giocare sul margine del deficit?
«E un'ipotesi da valutare, avrà la risposta col varo del Def».

Non sarebbe logico che l'Europa cambiasse verso prima delle elezioni di fine maggio per contenere l'affermazione dei partiti più radicali?
«Sarebbe logico, ma non è facile. L'Europa è come una nave da crociera, per invertire la rotta occorre impostare la manovra con largo anticipo».

Ma qualcuno ha cominciato a manovrare il timone?
«Certo. Vede, noi non chiediamo deroghe speciali per l'Italia, ma invochiamo un radicale cambio di approccio. Nei suoi incontri europei, Matteo Renzi è stato percepito come un leader forte, determinato e coraggioso: erano anni che non accadeva».

Concretamente, però, non ha spuntato nulla.
«Occorre del tempo, e bisogna che gli altri undici governi europei di sinistra mostrino lo stesso coraggio mostrato da Renzì».

In passato Hollande ha deluso simili aspettative...
«Le cose cambiano, contiamo molto sull'intesa con la Francia ma non puntiamo a uno scontro tra nord e sud Europa, non porterebbe a nulla».

A cosa puntate, allora?
«A coinvolgere la Germania e i paesi più inclini al rigore come la Finlandia e i Paesi Bassi».

Come pensate di convincerli?
«Le cose stanno cambiando, il candidato socialista alla guida della Commissione europea, Martin Schulz, ragiona come Renzi e se anche dovesse spuntarla il candidato del Ppe, Jean-Claude Junker, prevediamo comunque un approccio più politico e meno rigoroso».

Intendete rinegoziare il Fiscal compact?
«Occorrerà quantomeno equilibrarlo con regole volte alla crescita».

Da Jean Monnet a Mario Monti, l'Europa è stata programmaticamente costruita tenendo all'oscuro i cittadini. Ma senza politica, cosa potrà mai nascere se non una tecnocrazia?
«Sono d'accordo. Quell'approccio andava bene all'inizio del processo di desovranizzazione degli stati, ma ora va radicalmente cambiato: occorre un approccio politico, democratico e trasparente che passi attraverso il pieno coinvolgimento delle opinioni pubbliche».

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