Ministro Foti: "Sul Donbass la decisione spetta solo a Kiev"
9 dicembre 2025
(intervista de La Stampa al Ministro Tommaso Foti)
Il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti segue il lavorio diplomatico di Volodymyr Zelensky, che ieri era prima a Londra con i leader di Germania, Regno Unito e Francia, poi in serata a Bruxelles, e oggi sarà a Roma per parlare con Giorgia Meloni. Lo sguardo di Foti ha un velo di disincanto: «Le grandi potenze europee, finora, non sono riuscite a incidere sulle trattative di pace, che si fanno lontane da qui», osserva. Ogni sforzo dell'Unione europea per avere un ruolo al tavolo di pace, però, «non è solo utile, ma necessario. Bisogna vedere se riuscirà a ottenerlo» .
Qual è la strada da percorrere?
«Credo sia fondamentale mantenere un asse tra Stati Uniti ed Europa, come viene sottolineato anche da Palazzo Chigi».
Questo vuol dire sposare la linea americana sulla possibilità di cedere il Donbass alla Russia?
«È la questione più delicata. Sul Donbass trovare un accordo non è facile, ma la decisione spetta a Kiev e solo a Kiev, non sta a me parlare di certe prospettive».
L'Europa intanto discute della possibilità di usare per la ricostruzione in Ucraina i 210 miliardi di euro di asset russi congelati. L'Italia che posizione avrà?
«Per noi è necessario coniugare l'interesse politico con le regole del diritto internazionale. È questo il problema di fondo».
E il governo italiano non vuole che si violi il diritto internazionale.
«È l'Europa che non può fare una cosa del genere, proprio perché è l'Europa. Ricordo che è anche in difesa del diritto internazionale che abbiamo preso posizione nel conflitto tra Ucraina e Russia».
Tutte le proposte presentate rischiano di andare incontro a una violazione?
«Di nessuna proposta sul tavolo, allo stato attuale, si può dire con certezza che sia conforme allo stato di diritto. Si sta vagliando ogni ipotesi in vista del Consiglio europeo del 18 dicembre e in questo momento la cosa migliore da fare è parlare il meno possibile».
Come si concilia il desiderio di rinsaldare l'asse tra Usa e Ue con le critiche durissime espresse da Donald Trump e da Elon Musk proprio contro l'Europa?
«Musk non è un componente dell'amministrazione Usa».
Ma gravita intorno a quel mondo. E sostiene che l'Europa sia il Quarto Reich.
«È un semplice cittadino e può pensarla come vuole, così come gli europei sono liberi di rispondergli come meglio credono. Vista la multa che la Commissione europea ha comminato a X, la sua società, mi sembra che Musk abbia semplicemente avuto la reazione stizzita di chi viene multato e perde il senso della misura».
Come interpreta, invece, i toni aspri usati da Trump?
«Sono anni che in Europa ci sono forze politiche come quella dei Conservatori, di cui fa parte Fratelli d'Italia, che chiedono all'Ue di "fare meno e fare meglio". Dicevamo che l'Ue non si doveva occupare dell'intera vita dei suoi cittadini, iper regolamentando tutto, ma solo di pochi temi ben delineati: politica estera, difesa, regolamentazione del fenomeno migratorio, mercato dell'energia».
E questo è quel che vorrebbe Trump?
«Quelle del presidente Usa sono motivazioni espresse con toni crudi, ma dovremmo riconoscerle noi per primi. E il senso di quelle parole, infatti, si trova anche nel Rapporto Draghi. Dobbiamo iniziare a camminare sulle nostre gambe, perché gli Usa ora sono impegnati in una competizione globale con la Cina».
L'Europa quest'anno ha invece aperto la porta dei suoi mercati a Pechino.
«Era largamente prevedibile che la Cina, dopo l'inizio della guerra commerciale con gli Stati Uniti, avrebbe riversato sull'Europa il flusso dei suoi prodotti. Ha sempre un problema di sovraproduzione e non riesce a stimolare a sufficienza il mercato interno. Era evidente che avrebbe ammortizzato i suoi problemi con gli Usa usando gli europei».
Macron sostiene che se il deficit commerciale con Pechino non si ridurrà, dovremo valutare dei dazi europei sulle merci cinesi. Lei è d'accordo?
«Le decisioni sulle politiche commerciali vengono prese dall'Ue , non dai singoli Stati membri».
L'Italia sarebbe favorevole?
«Dico solo che mi sembra di vivere un dejavu. Mi fa sorridere il pensiero delle grandi discussioni sui dazi americani all'Europa , mentre ora si valuta lo stesso strumento».
I due documenti approvati su Difesa e Immigrazione segnano un passo avanti verso quell'idea di Europa di cui parlava?
«Sì, è un buon segnale se si rafforza l'industria europea della Difesa e si sostengono gli appalti congiunti per aumentare la produzione. Si deve spiegare all'opinione pubblica che la Difesa ha un costo economico, ma produce una libertà politica. L'altro passo avanti importante è stato fatto con il nuovo regolamento sui Paesi sicuri: è grazie all'Italia se il tema del fenomeno migratorio è tornato centrale nell'agenda europea».
Il nuovo regolamento renderà utilizzabili i centri in Albania così come erano stati pensati all'inizio?
«Dovremo aspettare che il regolamento sia attivo, ma finalmente ci sarà una fonte giuridica superiore, opponibile a chi fino a oggi, in Italia, ha impedito il pieno utilizzo di quei centri».
(intervista di Federico Capurso, La Stampa)
