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"Europa su nuovi binari"

3 gennaio 2015

(intervista del Corriere Romagna al Sottosegretario Gozi)


Riportiamo ampi stralci di una intervista a tutto campo del Corriere Romagna al Sottosegretario Gozi, un bilancio sul lavoro fatto in Europa ma anche un'analisi della situazione politica italiana.

Quale Europa ha trovato all'inizio del semestre a guida italiana?
«Un'Europa ripiegata su se stessa, rivolta al passato e chiusa in uno schema di austerità mentale prima ancora che finanziaria. Abbiamo cercato di scuoterla cambiando metodo e ragionando sulle cose da fare, invece che sugli zero virgola dei parametri di bilancio. E siamo riusciti a portare una nuova politica degli investimenti».

Molti obiettano però che una vera svolta non c'è stata...
«Il piano Juncker è solo una prima risposta. Va accompagnato da altre risorse e da una maggiore flessibilità sulle regole europee. Intanto, però, certe cose che un anno fa erano un tabù anche solo da pensare sono state messe al centro del dibattito dell'Unione Europea. Doveva essere chiaro che non si può cambiare tutto in pochi mesi, ma abbiamo messo l'Europa su un nuovo binario, facendo iniziare un viaggio che avrà una durata quinquennale».

Quali sono le cose fatte negli ultimi sei mesi di cui va più fiero?
«Abbiamo avviato una politica comune ambiziosa contro i cambiamenti climatici e per lo sviluppo delle energie pulite. E la nostra azione in questo campo è stata così forte che anche Stati Uniti e Cina ad andare nella stessa direzione. La regolamentazione legislativa degli ogm, riconoscendo ai Paesi la potestà di limitare questo tipo di coltivazioni, è un'altra novità di grande rilievo. Un terzo risultato importante è che abbiamo gettato le basi per una nuova politica dell'immigrazione, con gestione comune della frontiere e rilanciando la cooperazione con i Paesi di provenienza dei migranti».

Invece, quali sono gli aspetti su cui bisognerebbe fare di più?
«Serve una maggiore attenzione al rispetto dei diritti fondamentali non solo al momento dell'esame degli Stati che vogliono entrare nella Ue ma anche successivamente. In particolare, la lotta contro l'antisemitismo, la libertà di stampa, il rispetto delle minoranze sono punti essenziali e valoriali su cui essere molto vigili».

E le delusioni maggiori?
«Avremmo voluto fare di più sul tema del "made in", che per Paesi come l'Italia è fondamentale. Non ce l'abbiamo fatta, ma almeno abbiamo sventato il tentativo che è stato fatto di eliminare l'argomento dal dibattito. Anche sulla "neutralità della rete" (i principi relativi alla banda larga, a partire dalla garanzia che sia priva di restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi e sul modo in cui essi operano, ndr) non siamo riusciti a spingerci dove avremmo voluto».

Ora l'Italia lascerà alla Lettonia il suo semestre di presidenza. Cosa dobbiamo aspettarci?
«Sono intenzionati a puntare molto sul tema dell'innovazione digitale. Gli altri temi chiave saranno l'occupazione, la crescita e la competitività. E poi la gestione della pericolosa crisi Russia-Ucraina».

Passiamo all'analisi della situazione nazionale. Che giudizio dà dell'azione del governo Renzi?
«E' stata caratterizzata da un grandissimo coraggio. Ha dimostrato che l'Italia ha un grande potenziale. Ma ha anche messo in luce che ci sono grandi forze della conservazione, sia a destra che a sinistra. Sono loro il nemico principale del  governo. Per sconfiggerle servono le due cose che Renzi sta mostrando: avere grande fiducia nel Paese ed impegnarsi a fare riforme in parallelo in vari settori».

Quali sono le riforme principali che volete mettere in campo?
«Oltre alle nuove regole sul mercato del lavoro, che abbiamo appena introdotto e sono convinto che creeranno più opportunità per i giovani precari e per i disoccupati, e la nuova legge elettorale, ci sono altre due grandi riforme da fare: quella della pubblica amministrazione e quella della giustizia, due mondi che hanno bisogno di cambiare profondamente. Ne abbiamo parlato per troppo tempo senza farle: è ora di passare dalle parole ai fatti. Nel giorno in cui ci rendessimo conto che non ce la facciamo, non resterebbe che prenderne atto e lasciare il governo».
di Gian Paolo Castagnoli

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