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Strategie digitali di comunicazione pubblica

Londra

20 marzo 2010

La comunicazione digitale è stata al centro dell'incontro organizzato a Londra, il 19 marzo 2010, dal Central Office of Information (l'agenzia di comunicazione del governo britannico) nell’ambito delle attività del Club di Venezia, organismo che riunisce i responsabili della comunicazione degli Stati e delle istituzioni UE e di cui è membro per l'Italia il Dipartimento per le politiche comunitarie. 

Fitto e stimolante il programma, con relatori illustri di Google e Facebook, esperti del COI, rappresentanti del governo inglese e olandese (che hanno proposto interessanti "best practice") oltre ai responsabili della comunicazione web della Commissione e del Parlamento europeo. 

Le relazioni e il dibattito, vivace e franco, hanno affrontato proprio le specificità e i rapporti tra questi due "mondi": la comunicazione istituzionale - con i suoi vincoli e responsabilità, ma anche con la necessità inderogabile di aprirsi ai nuovi canali - e la rete dei social media, ovvero l'interazione globale, in tempo reale, libera e molteplice.
 

L'esperienza del Central Office of Information

Il Chief Executive del COI, Mark Lund, ha spiegato come la "strategia digitale" del governo britannico sia stata favorita sia dalla necessità di ridurre la spesa pubblica in tempi di crisi economica (i social media garantiscono alta capacità di penetrazione a costi contenuti), sia dall'incredibile quantità di mezzi ed applicazioni oggi a disposizione dei cittadini, quasi raddoppiata nello spazio di una generazione. 

Nel Regno Unito oltre un terzo della popolazione è su Facebook e il 60% lo consulta quotidianamente. I social media hanno un enorme potere di influenzare gli stili di vita, e una comunicazione pubblica mirata a correggere il comportamento delle persone non può prescinderne. Il governo inglese li ha utilizzati, ad esempio, nelle campagne contro il fumo, l'obesità (colpisce un quarto degli under 13), l'abuso di alcol, i cambiamenti climatici. 

Su YouTube sono stati lanciati video anche per il reclutamento nella Royal Air Force. Siamo di fronte ad una "opportunità digitale", con grandi potenzialità per la democrazia. A chi ha espresso dubbi riguardo ai numerosi cittadini esclusi da questi circuiti, che non sono in rete, Lund ha risposto che le persone raggiunte dai nuovi canali sono comunque in grado di influenzarne altre, in un processo virtuoso destinato ad espandersi. 

Anche secondo Nick Jones, direttore dei Servizi Interattivi del COI (il nome dell'ufficio è sintomatico dell'importanza assegnata al settore), i social media non sono solo nuove tecnologie, ma introducono nuove abitudini. 

La riposta dell’amministrazione pubblica non può che essere il “digital engagement”, ovvero l’impegno ad erogare servizi e ad interloquire con i cittadini utilizzando anch’essa i media digitali, che no si sostituiscono ai canali tradizionali, ma li affiancano. 

La Marina inglese ha addirittura predisposto, prima tra le forze armate britanniche, un’applicazione iPhone e Facebook per attrarre nuove leve. Ma anche a livello locale non sono mancate iniziative interattive brillanti, come Balance your Bobbies, il sito della Polizia del Galles settentrionale attraverso il quale i cittadini possono esprimere commenti e suggerimenti, anche sulla destinazione delle risorse.


"Sei più famoso di quanto pensi!" 

Ha destato impressione la presentazione di Milko Vlessing, consulente esperto in media interattivi del Servizio di Comunicazione Pubblica del governo olandese, agenzia che opera per tutti i Ministeri e larga parte del settore pubblico. Una recente campagna, commissionata dal Ministero della Giustizia, ha riguardato il cybercrime, la criminalità informatica. E’ stata realizzata in collaborazione con Hyves, un social network molto frequentato nel Paesi Bassi, e indirizzata specificamente ai più giovani. Obiettivo: metterli in guardia dal pubblicare incautamente informazioni sulla loro vita privata, che possono essere intercettate per usi illegali anche se (apparentemente) condivise solo con gli "amici".  Attraverso un’audace operazione di "cybercrime governativo", è stato diffuso attraverso Hyves, mascherato come una comune clip di YouTube, un "video virale" dal contenuto e dal titolo inquietanti: "Sei più famoso di quanto pensi!". Il breve audiovisivo mostra una losca banda di cibercriminali indaffarati a captare identità, foto, frequentazioni, numero di carta di credito di un membro di Hyves, che alla fine si rivelerà essere proprio l’ignaro destinatario della clip (personalizzata con i dati del destinatario). Molti giovani sono rimasti scioccati dall’apprendere che i loro dati potevano essere rubati con tanta facilità da sconosciuti. Il video ha girato moltissimo e la campagna ha avuto un successo enorme. [Visualizza il filmato con i sottotitoli in inglese - L’audio originale non è in olandese, ma in un misto di lingue e dialetti diversi, ndr].  

La campagna è costata complessivamente meno di 100mila euro, mentre il valore stimato della pubblicità ottenuta gratuitamente, grazie alla rete, è stato di circa un milione e 200mila euro. L'iniziativa olandese ha posto il problema dell’uso corretto dei social media da parte dei governi. E’ giusto correre il rischio di "perdere il controllo" sul mezzo, accrescendo però enormemente l’efficacia e la capillarità del messaggio? La questione ovviamente rimane aperta, per ciascun governo valgono limiti normativi e culturali diversi. 


Questioni di privacy

Per Richard Allen (responsabile della European Public Policy di Facebook), la mission di Facebook è dare alla gente il potere di condividere esperienze su scala globale, e quindi rendere il mondo più aperto e interconnesso. L’offerta di contenuti in rete è vastissima, le persone si orientano in base alle indicazioni degli amici, Facebook permette e facilita questo scambio. D’altra parte anche l’uso del web è cambiato. Nel 1993 si poteva interagire anonimamente, in modalità one-to-one, oggi si ricerca anche la socialità, lo scambio multilaterale garantito dai social networks
Esistono ovviamente problemi di privacy, ad esempio nel caso in cui vengano pubblicate fotografie all’insaputa dei soggetti ritratti, i quali potrebbero non gradire tale diffusione. Il dibattito sull’ovvia questione – vale di più il diritto di chi ha pubblicato la foto a condividerla in rete, o il diritto della persona ritratta a veder rimossa quella foto? – è aperto, e una policy in proposito è tutta da scrivere. 

Riguardo alle politiche di sicurezza e al controllo dei contenuti, è stato ricordato il caso italiano [nel 2006 alcuni studenti di una scuola di Torino si filmarono mentre maltrattavano un compagno di classe affetto da autismo e caricarono su Google Video l'audiovisivo, rimosso dalla società a distanza di poche ore dalla notifica della Polizia; tuttavia la Procura di Milano decise di incriminare alcuni dirigenti di Google e nel febbraio del 2010 tre di essi sono stati condannati per mancato rispetto del codice italiano della privacy; Google ha presentato ricorso in appello, ndr]. In proposito, Allen ha chiarito che non è giusto – in ragione dei principi di libertà che regolano la comunicazione web – operare un controllo preventivo dei contenuti pubblicati dagli utenti, operazione che peraltro non sarebbe attuabile tecnicamente. L’unica censura possibile può intervenire a posteriori, attraverso la "rimozione su segnalazione" dei contenuti riprovevoli. Il danno provocato dall’eventuale momentanea pubblicazione di qualcosa che viola la privacy, è il prezzo che dobbiamo pagare per avere tutto il resto, una piattaforma globale aperta a tutti. 


La comunicazione digitale può aumentare l'efficienza della comunicazione pubblica?

Per Google sono intervenuti Koris Tinbergen (Google Benelux), e Hamish Nicklin (Google UK). Per cominciare, alcuni dati sul Regno Unito: i britannici trascorrono oltre il 30% del loro tempo libero online, il 42% segue web radio o web tv, il 52% legge o scarica notizie online, il 76% si informa di servizi locali online, il 40% pubblica propri contenuti in rete o "posta" nei blog. E inoltre: ogni minuto vengono caricate 20 ore di video su YouTube; si passa più tempo interagendo sui social networks che tramite email; il pubblico di Facebook è più esteso di quello televisivo… di ogni tempo.

La comunicazione digitale può aumentare l’efficienza del settore pubblico, permettendo – ad esempio – di raggiungere un maggior numero di cittadini, ottenere risposte in tempo reale, sollecitare contributi attivi, indurre modificazioni nei comportamenti (o moltiplicare i comportamenti virtuosi), guadagnare credibilità, migliorare l’efficacia dei servizi resi. 


"Un cittadino informato è un cittadino forte"

Molto interessante, in tema di trasparenza, l’impresa realizzata da una speciale "task force" costituita dal governo britannico in seguito allo scandalo dei rimborsi-spese gonfiati dei parlamentari, scoppiato in Gran Bretagna nel giugno scorso. Obiettivo: raccogliere e mettere in rete, in un sito istituzionale dedicato, tutti i dati pubblici, allo scopo di renderli facilmente reperibili e accessibili.

Il principio ispiratore dell’ambiziosa operazione - presentata da Andrew Stott (Head of Digital Engagement, Cabinet Office) è stato formulato dallo stesso premier Gordon Brown: "Information is the key. An informed citizen is a powerful citizen" [L’informazione è la chiave. Un cittadino informato è un cittadino forte, ndr]. La struttura incaricata di realizzare il progetto, composta di personale interno all’amministrazione, si è avvalsa dell’illustre consulenza di Tim Lee-Berners, l’inventore del World Wide Web, cui è stato affidato il coordinamento di un gruppo di super-esperti con una missione precisa: suggerire al governo l’uso migliore di Internet per rendere disponibili i dati pubblici (non personali) nel modo più esteso possibile. Il risultato è stato il sito Data.gov.uk, che ospita anche un Forum, un Blog, una sezione Wiki e persino una finestra Twitter.


Bert van Maele 
(Commissione europea) ha illustrato una ricerca condotta dalla DG Comunicazione su circa sessanta strumenti interattivi, tra cui i “social neetworks”, che verrà resa pubblica prossimamente. Steven Clark (Parlamento europeo), ha parlato dell’uso dei media digitali nella recente campagna per le elezioni europee, sottolineandone l’efficacia e l’effetto spin-off (in particolare di Facebook) che ha molto giovato all’immagine e alla reputazione del Parlamento. Martin Atkinson (Joint Research Centre - Ispra), ha aggiornato i presenti sullo stato dell’arte di Living Europe, una sorta di "portale dei media europei", concepito nell’ambito del Club di Venezia per garantire un facile accesso al dibattito interno dei singoli paesi europei. Al progetto partecipa anche il Dipartimento Politiche Comunitarie, che ha curato la scheda sull'Italia.

Concludendo i lavori, Vincenzo Le Voci (Segretariato del Consiglio dell'UE), animatore del Club di Venezia, ha ricordato che l’attività del gruppo di lavoro sui media digitali proseguirà e che la prossima sessione plenaria del Club si terrà a Malta in giugno. 

 

club di venezia

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