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Savona: un piano per la crescita

22 agosto 2018

(Intervista del Ministro Paolo Savona all'Unione Sarda)


Crescere, investire, combattere. Il vangelo secondo Paolo Savona suona più o meno così, anche se non necessariamente in quest'ordine. Per il ministro degli Affari europei la prima tappa prevede una lotta per cambiare «l'architettura istituzionale» dell'UE. Una rivoluzione dal suo interno. Parallelamente si deve disegnare un programma serio di sviluppo per l'Italia, con capitali pubblici e privati, in modo da afferrare una volta per tutte la ripresa. Cagliaritano, 81 anni, in questi giorni sta lavorando proprio al documento che presenterà tra poco a Bruxelles: una sorta di piano Marshall degli anni Duemila, in grado di dare il giusto choc alla finanza nazionale. O almeno questo è l'auspicio. I giorni della crisi istituzionale consumata sulla sua mancata nomina a ministro dell'Economia sembrano lontani, ma hanno lasciato una ferita profonda: riavvolgendo il nastro dei ricordi, Savona si sente come un novello Galileo a cui è stato chiesto di abiurare. Con una differenza fondamentale: «Io sono stato condannato per le idee che altri mi hanno attribuito, non per le mie».

Lei è l'anti-austerity.
«Per uscire dalla crisi sono necessario politiche complesse, che coinvolgono i comportamenti di tutti i cittadini. Lavoratori, imprese, pensionati e giovani in formazione. Purtroppo manca un dibattito serio sull'argomento».

In concreto: cosa si deve fare per vedere la luce in fondo al tunnel?
«Per ora mi limito a parlare di propiziare una ripresa per il secondo semestre 2018 e l'intero 2019, per rovesciare la tendenza recessiva in atto dell'economia italiana. L'idea è di avviare investimenti privati e pubblici per 50 miliardi di euro. Sulla base della conoscenza esatta di questa spesa, i centri ufficiali come Istat, Banca d'Italia, ministero dell'Economia e dipartimento per la programmazione economica, devono calcolare l'effetto moltiplicativo sul Pil».

La crescita dell'Eurozona supera il 2 per cento. Di quanto può salire il prodotto interno dell'Italia con un piano simile?
«Un illustre collega ha avanzato una stima di 1,2%, penso della spesa complessiva, ma credo si possa anche raggiungere un risultato 1,5-2 volte superiore se l'intervento coinvolge più lavoro».

Si spieghi meglio.
«In questo caso la crescita del Pil sarebbe nell'ordine dei 75-100 miliardi di euro, con un gettito tributario di 37-50 miliardi aggiuntivi, che potrebbero finanziare un soddisfacente avvio dei provvedimenti previsti dal Contratto di Governo, rispettando i vincoli europei e quelli derivanti dalla logica economica elementare. Sono contrario a un atteggiamento passivo verso la crisi».

Le polemiche sulle sue posizioni a riguardo dell'Euro sono state eterodirette, o magari influenzate dall'estero e dai "famosi" mercati?
«Come sostengo nelle mie memorie, è stata un'ennesima dimostrazione della natura culturale, piuttosto che economica, della crisi italiana. Sono stato e vengo condannato, lo dico tra virgolette, non per le idee che porto, ma per le idee che si ritiene che io porti. Sarebbe già stato grave se lo fossi stato per le mie idee, è vergognoso che ciò sia accaduto per le idee che altri mi hanno liberamente attribuito, non per le mie».

Si aspetta una nuova pressione finanziaria internazionale sull'Italia in vista dell'autunno, quando verrà discussa la prossima legge di bilancio?
«Vi sono ragioni oggettive e altre che, per semplicità, chiamerò politiche. Quelle oggettive sono racchiuse nelle difficoltà che questo Governo deve affrontare a seguito di una crisi durata dieci anni, che non è stata affrontata in modo adeguato né dall'Italia, né dall'Unione Europea».

E i motivi politici?
«Sono legati al tentativo dei gruppi dominanti sconfitti alle elezioni del 4 marzo di causare una crisi del nostro debito pubblico, per far fallire l'esperimento di Governo in atto».

Detto così, siamo ai limiti del complotto.
«Hanno messo in campo tutti i mezzi e gli opinion leader al loro servizio per propiziare l'evento, senza indicare le alternative simili a quelle che ho indicato io. I loro sono calcoli contabili, riguardano il rispetto statico dei parametri fiscali europei. Ma non contribuiscono a indicare come ottenere la crescita indispensabile».

Da quasi vent'anni l'Isola insegue il modello perfetto di continuità territoriale. L'avversario di sempre è l'UE, e non solo in questo campo.
«Sarei lieto se vi fosse un "modello perfetto" di continuità territoriale, perché il mio impegno in materia sarebbe più semplice. Esistono tanti singoli problemi da affrontare per raggiungere un risultato, alla luce degli accordi europei che i gruppi dirigenti e i Parlamenti del passato hanno approvato con troppa superficialità».

Bruxelles ha contestato o addirittura bloccato tutti gli ultimi bandi sui collegamenti aerei sardi.
«Pochi giorni dopo l'incontro con il governatore Pigliaru, a fine giugno, ho avviato a soluzione il problema dell'insufficiente offerta di posti nei voli aerei, anche se solo per il prossimo anno. I miei uffici sono impegnati sul tema della continuità territoriale».

Come si cambia l'Unione europea?
«Serve una correzione dell'architettura istituzionale, da cui discendono le scelte politiche insoddisfacenti, che ho annunciato il 10 luglio alle Commissioni riunite della Camera e del Senato. Ho avanzato una proposta che si prefigge di fare il bene dell'Italia e dell'Europa dopo aver ottenuto l'approvazione del Comitato interministeriale per gli Affari Europei che presiedo, su delega del presidente del Consiglio».

In quella occasione disse che bisogna essere pronti a ogni evenienza. Anche a un'uscita dall'Euro decisa da altri.
«Citai, ritengo in modo troppo raffinato rispetto al dibattito corrente, il pericolo del cigno nero di Taleb. La cronaca ha ironizzato su questo riferimento invece di soffermarsi sui contenuti importanti dell'azione prospettata».

Da Bruxelles all'Isola: l'autonomia sarda finora è stata sfruttata poco e male.
«L'autonomia regionale si è ispirata al principio che una gestione pubblica più vicina alle esigenze del territorio, rispetto a una gestione centralizzata, avrebbe dato migliori risultati».

Invece è stato un fallimento.
«Non conosco ricerche serie sui risultati di questo esperimento ormai pluridecennale, ma sono cosciente che tale è la percezione dell'opinione pubblica. L'esperienza che ho avuto al Credito Industriale Sardo mi dice che è possibile gestire a favore del territorio di competenza le risorse pubbliche e private che sono disponibili».

Come può essere migliorata l'autonomia?
«Se il problema è gestire bene le risorse, la risposta non può essere che quella di scegliere gestori competenti e fare leggi per dare fiato alle capacità dei cittadini. Torno al punto di partenza: per uscire una volta per tutte dalla crisi, anche quella sarda, occorrono decisioni complesse che vanno discusse e concordate».

Le nuove generazioni continuano ad andare all'estero per cercare lavoro.
«I giovani sono il futuro dell'Italia. Ho avuto la fortuna di vincere un concorso per entrare in Banca d'Italia, un'organizzazione che, grazie a Carli e a Baffi, si prefiggeva di preparare i giovani a divenire classe dirigente reclutando i migliori nelle università. Spesero cifre elevate per farlo, consentendoci di frequentare scuole importanti e avere esperienze formative determinanti».

Come dire: bisogna investire sui giovani, non solo a parole.
«Io stesso ho sentito il dovere di porre fine alla mia carriera in Banca d'Italia per insegnare all'università e molti miei allievi sono oggi al vertice di istituzioni. Sono stato un educatore, prima di essere un formatore. I gruppi dirigenti stanno facendo lo stesso oggi? Se i migliori emigrano, significa che non lo fanno. Questa è una parte della crisi culturale in atto».

Michele Ruffi

legge di bilancio , piano investimenti , euro , riforma UE , continuità territoriale
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