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«Ora un piano europeo per la ripresa. La Ue ha bisogno di leadership»

20 aprile 2020

(intervista del Corriere della Sera al Ministro Vincenzo Amendola)

Enzo Amendola, 46 anni, ministro per gli Affari europei, ha letto ieri mattina l'intervista del «Corriere» a Klaus Regling. Il funzionario tedesco, direttore generale del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), ha spiegato a lungo che la nuova linea di credito per somme fino al 2% del prodotto lordo di ogni Paese arriverebbe senza condizioni. Ma Amendola resta guardingo.

Le sembra percorribile il percorso di accesso al Pandemic Crisis Support, la nuova linea di credito del Mes, delineato da Regling?
«Apprezzo la sua onestà nel sottolineare come il fondo salvataggi, nato nel 2012, non è lo strumento giusto per questa crisi. Pandemic Crisis Support è una nuova proposta di credito e la verificheremo nel merito, come tutte le novità. È la posizione dal premier Giuseppe Conte. Dire no a priori non ha senso. Mi spiace per il dibattito surreale di questi giorni: non fa onore all'Italia, che tra l'altro è decisiva nel consiglio del Mes. Valuteremo quando la linea sarà definita».

Regling sul «Corriere» ha spiegato molto. Cosa aspettate ancora di capire?
«Che la condizionalità definita prima del prestito sia unica per tutti. Molti non ne sono sicuri. Per il parlamento sarebbe utile al momento dell'eventuale apertura della linea di credito che le condizioni siano chiarite una volta per tutte».

A Conte serve un risultato al vertice di giovedì sul Recovery Pian, il piano per la ripresa franco-italiano, per poter accettare i soldi del Mes?
«La risposta europea la valutiamo su tutti e quattro gli strumenti. Per ora ce ne sono tre: il piano della Banca europea degli investimenti per le imprese; Sure, il piano della Commissione per il lavoro; e il Mes. Questi non hanno la forza che tutti gli osservatori indicano come necessaria. Non ci intestardiamo sul Recovery Pian, il piano per la ripresa, per una questione di principio. Ma servono molte più risorse».

Uniamo i puntini: Regling offre il Mes, che non basta, e sostiene che quest'anno non può esserci altro. Non è che da qualche parte si sta pensando di condurre l'Italia verso un vero piano di salvataggio?
«Se qualcuno volesse mettere in pratica una teoria del genere, sarebbe un marziano».

Perché?
«Perché non si rende conto della natura di questa recessione. Dopo il 2008 la bolla finanziaria si scaricò sui debiti sovrani di certi Paesi. Se qualcuno ora pensa che sia la stessa storia, davvero mi preoccupa la sua capacità di lettura. Basta leggere qualunque dato trimestrale dell'industria di qualsiasi Paese per capire».

Regling dice che le istituzioni europee hanno messo in campo risorse fino a 500 miliardi. Non bastano?
«Assolutamente no. E mi fa piacere che, oltre che da Italia, Francia e Spagna, anche dalla Banca centrale europea vengano parole di preoccupazione. Ma la profondità della recessione e i rischi letali per le catene di valore europee si risolvono solo con un nuovo patto fiscale tra i Ventisette. Per ora sono in discussione idee anche buone, ma con gittata modesta. Di qui la nostra spinta per il Recovery Fund».

Il direttore del Mes dice anche che non ci sarebbe tempo di raccogliere risorse sui mercati con emissioni di debito comune quest'anno. Condivide?
«No. Non è un tema tecnico, riguarda le visioni politiche, la forza delle leadership. Anche dentro gli attuali trattati c'è la possibilità di fare emissioni di debito da subito. Una prova di questo l'ha data il commissario Ue Paolo Gentiloni lanciando il fondo Sure, titoli garantiti dagli stati per combattere la disoccupazione. Lo stesso fa la Banca Europea degli Investimenti. Se c'è volontà politica, le strade si trovano».

L'Europa e l'Italia possono resistere allo stress di questa recessione se non si mettono in campo altre risorse già quest'anno?
«Ogni Paese sta attuando politiche espansive. Quello che manca oggi è un segnale forte di coesione dei Ventisette dinanzi ai mercati, trasmettendo l'idea che siamo pronti a tutto per superare la recessione. "Whatever it takes" questa volta lo deve dire il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, non solo la Bce. Altrimenti la crisi potrebbe cambiare natura come un virus, facendo collassare il mercato unico e la zona euro sotto i colpi degli squilibri interni».

Non è che ancora una volta Angela Merkel gioca a prendere tempo, tanto il tempo gioca dalla parte della Germania?
«In questa fase cadere negli stereotipi è facile. Il patriottismo io lo pratico rifuggendo le arguzie dialettiche e i luoghi comuni. Non c'è dubbio che alcuni Paesi, Germania inclusa, siano forti grazie ai vantaggi del mercato interno e a importanti quote di export. Ma se perdiamo tempo in lunghi negoziati, la recessione aggredirà proprio quei due fattori. A quel punto non vedo che beneficio potrebbero trarne anche i Paesi più forti. Rinviare o insabbiare scelte come il Recovery Fund distruggerebbe la competitività complessiva dell'Europa. E la Germania sarà anche troppo grande per l'Europa, come si dice, ma da sola è piccola rispetto giganti del mondo post-coronavirus».
Federico Fubini

Pandemic Crisis Support , Recovery Plan , Recovery Fund , coronavirus
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