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Gozi: l'Europa deve voltare pagina, i «compiti a casa» non bastano più

4 ottobre 2014

(intervista del Corriere della Sera al Sottosegretario Gozi) 


Sandro Gozi è uno degli uomini più vicini a Matteo Renzi. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha la delega per gli Affari europei. In questa intervista parla tra l'altro di Merkel, di 
Draghi, di rischio Marine Le Pen; e fa una valutazione di metà percorso del semestre di presidenza italiana della Ue.

L'8 ottobre si terrà il famoso summit sulla crescita voluto dall'Italia. Obiettivi?
«Non sarà un vertice, sarà una conferenza: un dibattito aperto e libero tra capi di Stato e di governo, preceduto dai ministri del Lavoro, sulla disoccupazione. Cioè sulle riforme del mercato del lavoro e sulle politiche per l'occupazione: riforme strutturali e investimenti per massimizzarne gli effetti».

Incontro depotenziato rispetto alle aspettative.
«C'erano troppi impegni ravvicinati per organizzare un vertice in più. A metà mese ci sarà l'incontro Europa-Asia, una settimana dopo, un summit europeo».

L'Italia metterà sul tavolo cose concrete?
«Presenteremo i capisaldi del Jobs act. La conferenza è un'occasione anche per informare su quello che ogni governo sta facendo. Vogliamo sottolineare l'importanza delle interdipendenze: quello che fa un governo influenza gli altri».

Il momento non è però dei migliori, c'è sfiducia tra i Paesi nell'Eurozona.
«È venuta meno la fiducia tra governi e tra popoli. Per questo l'Europa deve voltare pagina. Dobbiamo aprire un ciclo di responsabilità e lungimiranza. Responsabilità nel senso della necessità di un forte impegno per le riforme strutturali. Però, e qui viene la lungimiranza, l'Europa deve alzare lo guardo, rendersi conto che servono politiche economiche finalizzate a favorire la crescita. È la fiducia, non la diffidenza, a favorire le riforme. Occorre prendere atto che tutti i Paesi stanno affrontando un passaggio che, nella terminologia Ue, è di "circostanze eccezionali", di grave crisi economica e sociale».

Quindi? In concreto?
«Quindi ci aspettiamo - è un obiettivo della nostra presidenza - una politica di investimenti pubblici e privati. Il presidente della Commissione Jean-Claude Junker ha parlato di investimenti per 300 miliardi, ora deve consegnarli. Al vertice Ue di dicembre ci attendiamo che dica da dove verranno e chiarisca che sono aggiuntivi a quelli già mobilitati. Aggiuntivi: è essenziale».

Per creare fiducia, Draghi propone che i Paesi cedano sovranità a Bruxelles anche in fatto di riforme strutturali.
«Credo che le riforme debbano essere scelte e realizzate dai governi nazionali. Certo, concertate in Europa, ma non credo che siamo in una fase in cui servono maggiori vincoli esterni».

La nuova Commissione sarà dominata dal centrodestra. Merkel ha vinto a mani basse.
«Nella Ue c'è una maggioranza di destra. Noi siamo soddisfatti della nomina del socialista francese Piene Moscovici agli Affari economici. Ora sta a Juncker gestire i rapporti tra Moscovici da un lato e Valdis Dombrovskis e Jyrki Katainen dall'altro (i due commissari conservatori con superpoteri, ndr). È una Commissione di coalizione ma Juncker ha un mandato chiaro, l'Agenda decisa a giugno. Il diavolo starà nei dettagli della sua gestione».

Il rapporto tra Renzi e Merkel non sembra brillare, si litiga sui «compiti a casa».
«Dobbiamo rivendicare pari dignità. E attenzione ai discorsi sui compiti a casa: non bastano. Se ognuno sistema il proprio giardino ma poi strade, piazze, acquedotti non ci sono, ci illudiamo che le cose funzionino».

Dire, come ha fatto Renzi, che il limite del 3% del deficit sul Pil è «antiquariato» avrà fatto correre brividi per la spina dorsale di Frau Merkel.
«Questo è il modo che il premier ha per mettere al centro del dibattito flessibilità di bilancio e crescita. Se non usasse questo metodo, con caparbietà, il tema non sarebbe al centro della discussione in Europa. Occorreva squarciare il velo di ipocrisia che c'era sull'argomento. I parametri europei erano pensati per una crescita del 2-3% del Pil e un'inflazione del 2%: che non ci sono. Se discutiamo di questo è grazie a Renzi».

Come legge la rottura francese sui vincoli europei?
«È da rispettare, il contesto economico è molto degradato. Ma c'è anche un lato politico essenziale da considerare: non vorrei che, a causa di politiche miopi, Marine Le Pen finisse con il guidare la Francia. Sarebbe la fine dell'Europa».

A forza di insistere sulla flessibilità dei conti pubblici non rischiamo di perdere la Germania?
«Non vorrei che fosse la Germania a perdersi. Tutti dobbiamo prendere atto che le politiche seguite finora non hanno dato i risultati sperati. Ognuno deve fare di più di quello che ha fatto. Senza impone le proprie convinzioni».
di Danilo Taino

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