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La narrazione dell UE e sull UE a 60 anni dai Trattati di Roma dall utopia realizzata alla disillusione

5 luglio 2017

Il 19 giugno a Roma, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio, la Rete per l'eccellenza dell'italiano istituzionale (REI), coordinata dalla DG Traduzione della Commissione europea, ha organizzato un convegno nel quadro delle celebrazioni del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma.

Linguisti, accademici, traduttori e interpreti delle istituzioni italiane ed europee, giornalisti ed esperti di comunicazione hanno analizzato l'evoluzione del modo in cui l'UE si è raccontata e del modo in cui i mezzi di comunicazione hanno raccontato l'UE nel corso della sua storia. 

L'evento è stato trasmesso in web streaming dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. 

Ha aperto i lavori Beatrice Covassi, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, che  nel suo messaggio di saluto ai partecipanti – ha invitato a costruire sinergie per "svecchiare" la nostra lingua, attrarre nuovi traduttori e parlare ai giovani, per far sì che non solo l’italiano, ma l’Europa resti un organismo vivo.  

Fiorenza Barazzoni, Coordinatrice dell’Ufficio mercato interno e competitività del Dipartimento per le Politiche Europee, ha ringraziato gli organizzatori per l’eccellente idea di dedicare una giornata REI all'anniversario dei 60 anni dei Trattati. Una ricorrenza cara al Governo, che l’ha trasformata in un’occasione per rilanciare con forza il progetto europeo. Tra le varie iniziative promosse dal DPE, “WE_WelcomeEurope: speranze e idee per l'Unione del futuro", un concorso rivolto alle scuole secondarie di I e II grado italiane, al quale hanno partecipato con i loro video oltre 200 istituti. Al termine dell’intervento, è stata mostrata una sintesi dei filmati degli istituti premiati, molto apprezzati dai successivi relatori.

L'UE SI RACCONTA

Klaus Meyer-Koeken, Direttore della DG Traduzione della Commissione europea, ha raccontato la REI come caso di successo: è stata la prima rete linguistica di questo tipo, ed è diventata un modello per le successive. Meyer-Koeken, ex traduttore, conoscitore di sei lingue, ha ricordato il valore del multilinguismo: nell'UE tutte le 24 lingue fanno ugualmente fede, non esistono "traduzioni", anche se per motivi pratici alcune di esse  in passato il francese, oggi l’inglese – fungono da lingue franche. Il multilinguismo è un obbligo costituzionale dell’UE e va tutelato, nonostante non sia gratis, perché l’UE produce normativa anche immediatamente efficace negli Stati membri (es. Regolamenti) e i cittadini devono poter comprendere appieno le leggi che sono tenuti a rispettare. Per adempiere a questa missione, non valutabile con criteri contabili, la DG Traduzione impegna 2700 persone: il servizio di traduzione più grande al mondo.     

La relazione di Elena Ioriatti, giurista comparatista dell’Università degli studi di Trento, si è soffermata sul linguaggio giuridico dei Trattati, sull’evoluzione del rapporto tra multilinguismo e lingua franca, sulle strutture che ogni lingua trascina con sé in termini di "modelli". Ha ricordato come la padronanza delle lingue rappresenti un potere (ad esempio nei negoziati) e come il multilinguismo sia uno strumento prezioso per arginare gli effetti distorsivi indotti dall’uso di una lingua dominante. Traduttori, revisori, giuristi linguisti sono l’anima del multilinguismo: ieri il francese, oggi l’inglese - ci sarà sempre una lingua franca da "tenere d’occhio".   

Roberto Santaniello, Rappresentanza in Italia della Commissione europea, ha proposto una ricostruzione storica di 60 anni di comunicati stampa dell’UE, in termini di messaggi, pubblico, linguaggi. Fino ai primi anni Novanta la politica di comunicazione non era indispensabile: l’area del consenso era limitata a un’élite politica, al massimo alle parti sociali, in un ambito strettamente nazionale. Dopo il Trattato di Maastricht, con l’ingresso nell’UE di Paesi, come Svezia e Finlandia, che attribuiscono valore fondamentale alla trasparenza, l’ottica cambia e si estende. Si afferma sempre di più l’uso dei comunicati stampa, che assumono carattere divulgativo, nella struttura e nel linguaggio. Fino al Libro Bianco di Juncker del 1 marzo 2017, che ha lanciato un dibattito sul futuro dell’Unione coinvolgendo le istituzioni di ogni livello e, direttamente, la società civile nel suo complesso.

Al centro dell’analisi di Marco Ricorda, Centro comune di ricerca, Commissione europea, la comunicazione dell’UE ai giovani nell’era dei social network. Indispensabile, innanzitutto, la selezione dei pubblici destinatari: parlare a tutti equivale non parlare a nessuno, specie nell’ambito dei nuovi media.

Ad esempio, se il target sono i giovani, occorre identificarne un certo segmento, con relativi gusti, comportamenti, dimensione geografica. Né vale concentrarsi sulla quantità di "mi piace" registrati da un post, bensì sul numero delle interazioni con gli utenti. Le istituzioni dovrebbero prefiggersi di stare non "al passo" con i tempi, ma "avanti" ai tempi.       

Al dibattito, moderato da Paola Rizzotto [nella foto], Direzione Generale Traduzione della Commissione europea, è seguita la sessione dedicata a come i media hanno raccontato l’Unione Europa.

L’UE ATTRAVERSO LA LENTE DEI GIORNALISTI

Raphael Gallus, Direzione Generale Traduzione della Commissione europea, nel suo intervento “Driiiing! Hanno fatto l’Europa!” ha proposto e commentato una registrazione storica, un video in Eurovisione della firma dei Trattati trasmesso il 25 marzo 1957. Ciò ha dato occasione al relatore e ai partecipanti di analizzare e discutere lo stile del tempo. L’intervento si è concluso con una notazione sul reportage di un corrispondente tedesco a Roma che il giorno della firma aprì il suo articolo con una testimonianza della piccola vicina di casa, che spiegava come quel giorno non ci fosse scuola, perché "si faceva l’Europa". La signora, oggi ultrasessantenne, è stata reintervistata dallo stesso Gallus, figlio del corrispondente dell’epoca.

"Raccontare l'Europa: bufale & papere" è stato il tema della relazione di Marco Zatterin, La Stampa, che ha descritto attraverso alcuni esempi, talora paradossali, la perdita di contatto dell’opinione pubblica con la verità. Ma spesso le cosiddette fake news sull’UE derivano da informazioni – fornite dalle stesse fonti europee – "fraintendibili" all’origine, quindi anche l’Unione non è indenne da responsabilità. Come non lo sono i governi, che tendono a nazionalizzare le vittorie ed europeizzare le sconfitte.

Quanto alla comunicazione istituzionale dell’UE, presenta alcuni limiti: a) E' gestita dalla Commissione, organo che a rigore dovrebbe avere compiti soprattutto tecnici; spetterebbe al Consiglio dell’UE, che però preferisce astenersene per non entrare in contrasto con i singoli Stati membri. b) La quantità di notizie fornite è enorme, ma di qualità non sempre soddisfacente. c) Il crescente accentramento di tali funzioni in poche mani, particolarmente nell’era Juncker. d) La possibilità di porre domande, per i giornalisti, è sempre più ridotta e concessa solo in sedi inadeguate. e) L’inefficacia dei comunicati ufficiali, che non trasmettono emozione, contengono troppi dettagli, sono eccessivamente tecnici ecc.

Occorre che i comunicatori dell’UE tengano in conto le esigenze di chi dovrà diffondere i loro messaggi (“pensino a chi scrive”), spieghino le decisioni tecniche con esempi specifici, siano guidati da parole d’ordine come verità, emozione, qualità.     

Tiziana Di Maio, Università LUMSA, Roma, ha proposto un contributo sul tema "Fare l’Europa: il ruolo dei media nella costruzione di un’identità europea", in cui ha analizzato l’excursus del filo-europeismo nel panorama politico italiano. Dagli anni Cinquanta, in cui lo slogan "fare l’Europa o morire" era utilizzato dai partiti cristiano-democratici in funzione anticomunista, fino all’attuale posizione pro-UE dei media dei partiti di sinistra.  Oggi – come ha detto la cancelliera tedesca Merkel a colloquio con il  presidente francese Macron – "siamo in un momento che Hesse definirebbe magia dell’inizio". Merkel si è detta disponibile a rivedere i Trattati; forse viviamo davvero, in questo momento di crisi dei valori fondativi  dell’UE (solidarietà, democrazia, pace), l’incipit di una nuova fase del "fare l’Europa".

"L'Europa e gli algoritmi: come i social media influenzano il discorso sull'Europa" è il titolo dell’intervento di Maria Pia Rossignaud, Media Duemila, Osservatorio TuttiMedia, la quale ha ricordato come la copertura di temi UE sui giornali italiani equivalga al 20% dei contenuti, limitati in genere ai temi di pura attualità, come – il giorno stesso del convegno REI – le multe ai cosiddetti "giganti del web". E’ una situazione che valorizza a maggior ragione il ruolo dei social media e del cosiddetto giornalismo partecipato perché oggi, parafrasando Marshall Mc Luhan, "people is the message".  Se la costruzione dell’identità europea è stata affidata, al tempo della firma dei Trattati di Roma e fino a un decennio fa, ai media tradizionali, oggi occorrerebbe reimmaginarla tenendo conto della cosiddetta "rivoluzione social media", coinvolgendo le nuove generazioni sul tema di "cosa significa essere europei per i giovani". L’uso del web e degli strumenti social implica d’altra parte un concreto pericolo di "datacracy", o governo degli algoritmi, fenomeno per cui la rete propone o impone all’utente esclusivamente prodotti ritenuti appetibili e informazioni "su misura", ritagliate dall’analisi delle pagine visitate e delle ricerche effettuate online. Contro questo pericolo serve da parte delle istituzioni una "collaborazione proattiva" per promuovere lo scambio di conoscenze, sul modello degli "atelier di conoscenza collettiva".

La relazione di Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, tra i “padri fondatori” della REI, si ispira ad una frase di Orazio, di estrema attualità:  "Multa renascentur quae iam cecidere, cadentque quae nunc sunt in honore vocabula, si volet usus, quem penes arbitrium est et ius et norma loquendi" [Parole cadute in gran numero rivivranno, parole vive periranno, secondo che vorrà l'uso, signore assoluto del linguaggio, fonte del suo diritto e sua legge]. La lingua è un corpo vivo, elastico, mutevole, che evolve a ritmi fortissimi.

In Europa le lingue ufficiali sono 24, avendo ciascuno Stato il diritto di segnalarne una soltanto (ad esempio il gaelico per l’Irlanda, il maltese indicato da Malta). In tale contesto, è indubbio il ruolo dell’inglese come lingua veicolare, cui l’UE non potrà rinunciare. Tuttavia la Brexit, con lo "smantellamento" degli organismi UE e il rientro di molti giovani europei dal Regno Unito, e il protezionismo di Trump, con conseguente riduzione di scambi UE/USA, potrebbero modificare la situazione. L’inglese, in questo caso, non avrebbe più lo stesso sapore, verrebbe meno l’osmosi tra i due bacini sperimentata finora, e anche la destinazione delle risorse sarebbe “rimodulata” (già ora alcune università offrono corsi in tedesco, russo, cinese).          

Richiamandosi ad un libro curato da Maria Agostina Cabiddu, "L’'italiano alla prova dell'internazionalizzazione", Sabatini ha affrontato il tema dell’uso esclusivo dell’inglese nei corsi universitari (Politecnico di Milano), contro cui si è pronunciata anche la Corte Costituzionale (24/2/2017). La scelta dell’esclusività lascia perplessi, in quanto la lingua madre, se trascurata e abbandonata, rischia di deperire e venire meno. Cessa di essere, per dirla con Maria Luisa Villa ["L'inglese non basta", 2013, ndr], la spalla del gigante da cui vedere lontano.

Un ultimo spunto di riflessione è offerto dal fenomeno migratorio. A parte la necessità di redistribuire i nuovi arrivati, è importante far acquisire ai migranti stanziali la lingua nazionale, per il suo valore socio-fondativo, oltre che d’uso comune; in tal modo, tra l’altro, la comunità autoctona si dimostrerebbe capace di ammodernarsi, curare le proprie tradizioni e far valere i diritti linguistici.   

I lavori sono stati conclusi da un dibattito moderato da Michele Cortelazzo, dell’Università di Padova.

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